Psiche e decisioni difficili

di Roberto Cafiso  da LA SICILIA del 19.12.14

Le responsabilità scomode viste da chi è seduto al bar….

 

Chi decide con ampia discrezionalità  ha addosso un carico di responsabilità che non sempre viene percepito all’esterno. L’utilizzo  di un potere deliberativo nell’immaginario collettivo è legato al tornaconto  oppure allo spadroneggiare per il gusto,  all’ebbrezza del comando. Più spesso chi si assume  rilevanti responsabilità sul singolo o sulla collettività è portatore di interrogativi interiori, vagli, ipotesi tra di loro divergenti, che non di rado annichilirebbero  un  malcapitato al loro posto. Eppure i decisori  dovranno fare in fondo il loro lavoro, con i patemi, i dubbi o la pena nel cuore.

 

Decidere del destino di un proprio simile , a volte in poco tempo,  è un’operazione densa di variegati significati , che vanno dai valori del decisore, sino alle sue convinzioni personali, alla cultura ed all’area affettivo- emotiva. Si tratta di una catena produttiva di un verdetto molto complessa, ove dovrà sempre prevalere l’interesse del singolo o della collettività, oppure di entrambe,  passando anche  dalle  passioni personali , sino al proprio  senso del dovere.  Ci vuole molto equilibrio per decidere  limitando al minimo  le influenze del proprio mondo interiore  o escludendo l’interesse privato ed il profitto . Ledere i diritti altrui, di salute, dignità, libertà, felicità, è un delitto tra i più gravi, proprio perché ha come presupposto  lo sperequato dislivello tra il decidente e chi è sottoposto al suo giudizio.

 

Un pilota di linea con l’aeromobile  in panne, attenendosi a procedure standardizzate, ma  ricorrendo anche alla sua perizia,  deve decidere della sorte di tutti i passeggeri con una manovra piuttosto che un’altra. In una manciata di secondi  deve scegliere una soluzione col minor danno possibile. Un chirurgo in sala operatoria, di fronte ad una complicanza, deve garantire  al paziente il massimo delle opportunità di vita,  prendendo la decisione migliore. Ed un giudice in tribunale è chiamato ad un verdetto i cui esiti condizioneranno a vita l’imputato. E lo fa in nome del popolo. Costoro e molti altri in posti di grande responsabilità non possono permettersi il lusso di procrastinare una decisione. Devono assumerla e sanno che perciò  potranno essere  a loro volta  giudicati da un organo terzo. E lo sarebbero anche  qualora non prendessero alcuna decisione, perché la prudenza  spesso è l’alibi dei pavidi.

 

Dalle grandi scelte istituzionali ( di prefetti, sindaci, militari ….) , alle  decisioni dentro i luoghi di lavoro o in famiglia, prima poi tutti si incappa nell’assunzione inderogabile di una responsabilità che ci appare pesante e talvolta iniqua e di fronte alla quale molti farebbero volentieri a meno di pronunciarsi, perché  alcuni oneri  da assumersi   appaiono  macigni insostenibili , mentre quelli altrui, spesso ben più pesanti, solo come un esercizio  di   potere, magari condito da un pizzico di sadismo verso il prossimo. Non si esclude a priori che taluni decisori possano essere inclini a questa perversa tendenza, persuasi di un’ impunità  inviolabile. Ma di certo la maggior parte di chi decide è solo con se stesso e malgrado ciò nel formulare la propria risoluzione, si avverte  dentro una stanza a vetri, esposto al giudizio  di tutti.

 

Infine le decisioni “fuori dal comune”  come il suicidio e l’eutanasia. Pensare che in ogni caso ci troviamo di fronte ad alterazioni psichiche acute provocate da un lungo sconforti o da incapacità di tollerare il dolore sarebbe ingenuo. C’è chi sceglie una strada definitiva consapevolmente, valutando pro e contro della scelta e mettendosi alle spalle rimpianti, dubbi e sensi di colpa. Decisioni estreme, spesso inspiegabili e  talora non condivisibili. Di fatto  vi sono  persone che si arrogano il diritto di decidere sulla propria vita o  su quella di un proprio caro con un futuro già scritto.  Ancora più in là  chi si ritiene legittimato a determinare il destino e la stessa esistenza di un  individuo o di  molti  propri simili, dando un ordine definitivo e talvolta crudele.  Senza alcun rimorso, giacché – sostengono –  qualcuno deve farlo.

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