Psiche e delitti d’impeto

ROBERTO CAFISO

 

A volte negli esseri umani si scatena un tsunami emotivo, una bomba reattiva che fa compiere i  più impensabili gesti di cieca violenza . Omicidi  familiari plurimi, delitti passionali,  suicidi a seguire.  Pochi minuti di follia inusitata in grado di cambiare il destino di molte vite per sempre.  La mente è un ingranaggio complesso con molti lati oscuri , che racchiude in sé aree di imprevedibilità  e di sorpresa. E ciò,  malgrado si possa far prevenzione o contenimento di pulsioni indesiderabili sia da parte della società,che dei familiari o dell’individuo stesso.

 

Che la depressione economica e l’anomia sociale che spesso ne consegue  abbiano denudato l’assurda  equivalenza  lavoro  uguale  valore , per la quale  la perdita di reddito implica la precipitazione dell’autostima personale, è un’analisi  oramai consolidata. Violenze contro i familiari e contro un partner sembrano mostrare, oltre ogni legittimo sdegno umano,  un’architettura conservativa di un bene assoluto, assimilato a se stessi, da non lasciare sul lastrico, né in mano ad  altri.

 

La struttura ideica   di questo convincimento  sta nell’assioma del possesso legittimato e legittimante di qualcosa o di qualcuno. Da qui l’indispensabilità dell’oggetto assieme all’apologia di  se stessi in quanto padroni  dell’oggetto e la violenza che si scatena come nelle situazioni tribali di minaccia dell’integrità della propria capanna e del suo contenuto umano. Non è mero  egoismo ;  qui è più congruo parlare di un io che assurge al ruolo di  divinità con poteri assoluti e definitivi. L’eco di un’era tanto lontana ma paradossalmente odierna quando si scatenano  le istanze del cervello più antico, senza più un controllo corticale.

 

Negli acting out omicidi l’individuo perde ogni capacità valutativa delle conseguenze  del proprio gesto  ed infierisce sulle vittime con una ferocia di stampo ancestrale. Mentre colpisce egli è accecato dal sangue e ad un tempo lusingato dalla sua potenza. Il destino sta compiendosi secondo ciò che “deve essere”. In quegli attimi non c’è pietà e i legami  smettono di esistere lungo il versante protettivo. Il dio decisore sta provvedendo per il meglio, dispensando la sua giustizia e le conseguenze sono inevitabili. Probabilmente per certi misfatti  momenti dissociativi prendono il sopravvento e deliri paranoici  acuti  legittimano il misfatto.

 

Mentre il soggetto colpisce per uccidere assestando colpi all’impazzata,  può affacciarsi tra le pieghe della furia omicida la consapevolezza del gesto. Ma in quegli attimi  un  senso di colpa lucido ma intermittente incrementa la foga, quasi a punire irrimediabilmente l’esecutore, disprezzandolo ed esiliandolo da ogni alba possibile. Come quando pur potendosi fermare si decide di  toccare il fondo  sino all’inevitabile epilogo, per  trovare dall’ignominia  di quelle orribili gesta la forza per completare l’opera.  Il dio  tornato uomo, ansimante, stanco, insanguinato, prono di fronte alle sue vittime esamini, le persone che amava di più ,  ora vede e comprende inebetito, sino a  trovare  l’ultimo barlume di efferatezza. Non è coraggio. Questo è prerogativa di chi  sa  accettare il fardello della vita.  E’ irreversibile disperazione.

 

Così rivolge su se stesso la violenza omicida , pregno  della strage eseguita in una bolla atroce di  potere auto indulgente letto di colpo come iniquo. L’omicida può suicidarsi e mettere fine ad un’epoca di relazioni  tanto indispensabili quanto dicotomicamente   liquidabili. O perché a rischio  e da “proteggere” , oppure perché semplicemente hanno tradito, facendo precipitare  la considerazione del sé. Il resto è cronaca nera, interviste ai vicini, che mai avrebbero potuto immaginare tale e tanto lutto … Ma queste istanze sono dentro di noi, intatte ma  sopite, da un po’ di tempo stressate da condizioni di vita che reclamano una via d’uscita o magari una tregua di sole lacrime, senza sangue, con una prospettiva ancora sostenibile.

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