Psiche e i tuffi nel passato

Di ROBERTO CAFISO   da  LA SICILIA del 22.4.16

I TUFFI NEL PASSATO E LA NOSTALGIA CHE DIVENTA CONDANNA

 

A volte  gli  adulti  riprendono  le  vecchie foto in bianco e nero per guardare com’erano.  Foto in famiglia, di  gite al mare, compleanni o a scuola coi compagni,  e le osservano per l’ennesima volta, quasi  a cogliere particolari  magari  sfuggiti le altre volte. Come rivedere un film al quale siamo legati o rileggere un libro che ci è sempre piaciuto.  Sarà la nostalgia o forse la sete di bilanci periodica che si sente di tracciare, fatto sta che rituffarsi nel passato è un esercizio freqente. Esso serve anche a  ricomprendere  il presente, a dargli più senso. Ovvero a riconsiderare  giudizi, opinioni e convinzioni che avevamo ai tempi in cui siamo stati immortalati in quei fotogrammi. Una rete di neuroni che si riaccende e ripropone  immagini mentali ed emozioni  che oggi tendiamo a  processare diversamente dal click che fu.

Il passato non per questo ci insegue. Il più delle volte ci culla dentro scenari un po’ surreali ed un po’ magici , dove spesso abbiamo la necessità di rifugiarci quando il presente non ci riempie,  oppure  quando  temiamo il futuro.  Se non possiamo spalancare la porta davanti a noi, riapriamo quella alle nostre spalle. Perché  ci serve sempre  una prospettiva . Anche ciò che è dietro ci parla di vita, seppur  impolverata. Ma sostiene comunque  la nostra identità perché se “siamo stati”  vuol dire che “siamo”  e speriamo di poter essere. E’ un gioco di specchi e di logica  un po’ tautologica ed  un po’ zoppicante.  Per questo  le escursioni  nel passato hanno vari scopi auto protettivi , anche perché ognuno di noi ha attraversato in qualche modo un’età che considera  “d’oro”, di norma tra infanzia e giovinezza,  dove le promesse ed i sogni  superavano di gran lunga la realtà. L’esatto contrario di ciò che sovente capita successivamente, crescendo.

A tutti  piace sognare :  è costitutivo del dna umano. Piace fare inferenze, progetti e farsi spesso trascinare dalle rapide dell’utopia, che pure ha una concreta forza  fattiva se solo sappiamo orientarla.  Non sempre tuttavia, una volta cresciuti, raccogliamo i frutti di queste premesse e dei successi dell’età d’oro. A volte la vita non è stata conciliante e non ha mantenuto le attese. Ci si è  dovuti ridimensionare, ricredere, adattare a ciò che non si sarebbe  mai sottoscritto. Succede quando  le fantasie di un tempo non hanno trovato credito  e neppure i sorrisi che promettevano.  Per questo alcune volte riavvolgiamo il nastro, come in una moviola virtuale, e ci soffermiamo  a guardare pezzi di noi, ancora dentro di noi, frustrati, delusi, ma pur sempre tracce  predittive dell’oggi.

Le foto, i filmini girati con cineprese ormai cimeli e magari rivoltati in dischetti da pc rappresentano il difficile connubio tra ieri ed oggi, quell’improbabile tentativo che facciamo non solo per rievocare antichi fasti, ma anche per equilibrare età diverse  in  anni diversi. Si può riversare un film con la tecnologia digitale  e   colorarlo, ma a rivederlo non parla più di quei tempi, non rende l’idea che solo l’originale ci può trasmettere, tra immagini sfocate  o fotogrammi saltellanti con la cellulosa sempre in procinto di bruciarsi per consunzione.

Il passato è pur sempre una tana da esplorare. Basta non confonderlo col presente, tuffandovisi  a capofitto per troppe ore al giorno. Rischiano quelli che alla vita ritengono di non avere più nulla da chiedere, rischiano i depressi, i delusi rivendicativi, coloro  che vorrebbero prendere a pugni il mondo e  che perciò   restano soli con il senso di fallimento e la  rabbia che ne consegue. E rischia chiunque ecceda nella regressione, col pretesto di mettere a punto album, ricerche, carte impolverate che più che rimaneggiate di continuo  dovrebbero essere di tanto in tanto solo ricordate e   non riesumate.

 

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