Psiche e linguaggio

Da LA SICLIA del 24.10.14

PSICHE & SOCIETA’  ROBERTO CAFISO

LINGUAGGIO E SALUTE MENTALE

 

Ora che sull’ultimo manuale dei disordini psichici (  il DSM quinto ) , forgiato ogni 10 anni circa dall’Associazione Psichiatrica Americana ,  è apparso il “Disturbo della comunicazione sociale”  non ci sono più pretesti a ritenere di poco conto le carenze comunicative  di molti all’interno di  schemi relazionali  considerati adattivi.

 

I requisiti sono chiari: appropriatezza nei contatti saltuari di tipo sociale ( salutarsi, scambiare quattro chiacchiere, … ) ;  capacità di modificare la comunicazione per renderla adeguata al contesto o alle esigenze di chi ascolta ;  abilità a seguire le regole della conversazione ( rispettare i turni, riferirsi al contenuto dell’altro, saper ascoltare  ), adeguando i segnali verbali a quelli verbali ;  ed  ancora :  capacità di comprendere in modo simbolico ciò che non viene dichiarato esplicitamente ( saper  fare inferenze ) ; saper cogliere i significati non letterali o ambigui del linguaggio ( idiomi, metafore, motti di spirito…. ). Possedere  insomma un pacchetto di competenze linguistiche utili all’interazione coi propri simili.

 

L’esiguità di queste abilità rendono  la comunicazione poco efficace  e  dunque limitano la partecipazione sociale, le relazioni, le prestazioni professionali e tutto ciò che  oggi costituisce lo scambio  tra persone in contesti di vario tipo, dalla famiglia, alla scuola, sino alle aziende  o ai consessi politici. Il problema nasce quando l’individuo con deficit comunicativo ricopre un ruolo per il quale ci si aspetterebbero  capacità specifiche, aggreganti . Queste carenze pur non essendo attribuibili a condizioni neurologiche o psichiatriche ( es. l’ autismo ) o insufficienza dello sviluppo intellettivo, compromettono il funzionamento dell’esistenza stessa. E ancor di più: arrecano danno al contesto delle relazioni affettive o dei rapporti di lavoro all’interno dei  quali il soggetto inadatto ricopre una posizione gestionale di risorse.

 

Che il linguaggio rappresenti un sistema di riferimento che orienta l’individuo nella sua evoluzione e è cosa nota da tempo. Che esso si avvalga di una buona conoscenza linguistica   altrettanto. E’ ormai assodato altresì che chi comunica influenza, suscita, produce emozioni e convincimenti  a vari livelli  e dunque mutamenti nella chimica cerebrale ed ormonale dell’ interlocutore. Rabbia, avversione, fastidio oppure fascino, simpatia, gradevolezza,  sono le reazioni forse  più dicotomiche ma anche più comuni. Se un interlocutore non sa conversare, capire o farsi capire, parlandosi per lo più addosso, del tutto indifferente ai segnali  che arrivato dall’ altro ,  le relazioni risulteranno scadenti e di conseguenza anche i processi produttivi ad essi legati saranno di segno negativo.  Dal clima organizzativo , al fatturato, sino alla qualità delle prestazioni erogate ( si pensi ad un primario ospedaliero con un gap comunicativo ed alle conseguenze anche sulle criticità che si riverbereranno sulle cure e sull’assistenza dei degenti ).

 

Noi pensiamo attraverso parole, preposizioni fatte di parole e  ragionamenti basati sulle preposizioni.  Dal nostro vocabolario è deducibile la nostra stessa capacità di far fronte ai problemi e dunque il nostro equilibrio psicologico. Se siamo portati ad agire d’impulso o ad affrontare le questioni analizzandone i vari aspetti. Si può essere inefficaci e carenti  nel  comunicare e perciò in qualche modo disturbati . L’espressione  verbale è un marcatore  del disagio psichico e dei problemi di adattamento  ed ha un importante significato clinico, oggi più di ieri.

 

Nel giallo “Una storia semplice” Sciascia fa ritrovare dinnanzi , come avviene in modo fortuito nella vita, un anziano   insegnante di lettere con un suo ex  alunno, scadente  in italiano ed oggi magistrato  che deve interrogare il suo professore di un tempo . Il giudice un po’  sarcastico dice al docente che il prendere 3 nei temi di italiano non gli ha impedito di diventare  procuratore della Repubblica. Il prof. compassato gli risponde : “ Vede, l’italiano non è l’italiano :   è il ragionare ….”.  Una verità che non cogliere porta molti  a vivere arrancando, con mille, inutili, alibi.

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