Psiche e madri iperprotettive

ROBERTO CAFISO

 

Le chiamano “mamme ansiose” ma a volte sono solo donne gelose. Donne che devono cedere il trono della centralità affettiva di genitori , marito e congiunti per l’arrivo di un figlio e di più : di una figlia ,  e che combattono tra l’istanza biologica,  molto socializzata  dell’accudimento e quella innata dell’istinto di conservazione che talvolta trova nell’egocentrismo  un’ espressione estrema ed auto indulgente.

 

Donne per certi versi incomprese ed inconsapevoli. Come si fa a dire: questo fagottino roseo mi toglie spazio ? Se neppure un fratellino più grande può permetterselo e le sue manifestazioni di ostilità e di assillo per il nuovo arrivato sono spesso represse anche a scapito di sintomi adattivi, una madre come può accettare di avere un versante di gelosia per una propria creatura ?

 

Da qui i meccanismi compensativi, un aggiustamento delle tendenze verso uno stile  razionalizzato che possa rendere compatibili la dicotomia  dell’amore per il figlio e il suo rigetto, in un assetto camuffato ma non privo di conflitto. Una madre è pur sempre destinataria di un mandato  di sacrificio, abnegazione e altruismo totale nei confronti di un figlio. Una  responsabilità per nulla scontata da saper portare  sulle spalle. Più facile il peso in grembo per nove mesi.

 

Ed allora una madre può ammalarsi di depressione, che tra l’altro le  consente di captare attenzioni legittime. Chi sta male, da zero o novant’anni, ha diritti e giustificazioni e, nel nostro caso, può continuare seppur  indirettamente ad ottenere interesse dalle persone importanti . E’ un modo  sottinteso e doloroso per ricevere benevolenza , cure  ed amore.

 

Oppure può attivarsi un meccanismo  iperprotettivo  per il figlio. Un interesse ansioso ed apprensivo per la sua crescita, per gli eventuali problemi di salute, che possano legittimare la preoccupazione  della madre che, assumendo il ruolo di vedetta instancabile del bambino e ridiventando in tal modo simbiotica con lui, capta e filtra tutte le attenzioni che  vengono dedicate al figlio. Da qui anche i problemi col partner che di colpo diventa periferico e trascurato.

 

L’iperprotezione è una forma di controllo e perciò  una modalità di potere che rende chi lo esercita fondamentale per il  protetto e quest’ultimo dipendente dal protettore e dunque depotenziato nella centralità affettiva in famiglia. Un ruolo che si assume inconsapevolmente e pur tuttavia abbastanza di frequente per quelle madri aduse ad avere addosso i flash dei propri cari e relegate di colpo al ruolo di  balie zelanti e felici.

 

Il grave errore nell’aspettativa dei parenti è obbligare la donna ad essere lieta per definizione ad occuparsi del figlio, dedicandogli energie, ore di sonno, gioia e sottraendole di colpo  una serie di interessi extrafamiliari che una donna coltivava  prima della maternità pur desiderata,  ma della quale raramente si possono prevedere  gli effetti collaterali, specie per coloro  con certe caratteristiche personologiche. Ogni cosa, sin quando non si appalesa come  patologica, appare assolutamente normale.

 

Il protezionismo in eccesso è dannoso per un bambino per certi versi quanto il disinteresse. Entrambi gli atteggiamenti esprimono una modalità di rifiuto. Il primo ha però una matrice più subdola, anzi è travestito da  amore sviscerato, ma in realtà si riduce ad un ridimensionamento del piccolo, assumendo il ruolo di protagonista indiscusso della sua evoluzione.  Non si tratta di cattive  madri, ma  solo di donne inascoltate. Se solo fossero aiutate a capire ed accettare queste dinamiche con affetto   tutto si risolverebbe in poco tempo.

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