Psiche e passaggi all’atto

PSICHE & SOCIETA’

ROBERTO CAFISO

 

Gli episodi di ordinaria follia che si verificano un po’ in tutto il mondo  mettono in risalto l’inadeguatezza delle classificazioni psicopatologiche rispetto all’evolversi dei tempi. La loro relatività probabilmente è frutto  sia del radicamento diagnostico  in relazione all’evolversi  cadenzato  del manuale  statistico dei disturbi mentali, sia   specularmente   all’insistenza sempre più saliente di mutamenti  sociali  che determinano disturbi non ben classificabili o non studiati abbastanza.

 

Come dire che l’uomo ed i suoi processi mentali corrono più veloce della capacità dei clinici di identificarli e classificarli. Ed è perciò che  persone con una storia psicopatologica  muta o comunque irrilevante  un bel giorno si armano e sparano,  compiendo  una strage senza evidenti e perciò preventivabili perché.

 

Le analisi  dei mass media diventano  a questo punto pressanti spingendosi  sino alle ipotesi più temerarie. Quando quadri psicotici, disturbi di personalità, personalità multiple,  strutture paranoidi o bipolari, difficoltosi controlli degli impulsi o “doppie diagnosi” e ciò che di norma ci serve per spiegare i passaggi all’atto violenti,  non rispondono chiaramente ai perché, sorge la necessità di dilatare le conoscenze psicopatologiche  mutuandovi nozioni di socio – economia  : il momento di scoramento globale, la crisi lavorativa, la precarietà dei legami, le aspettative disattese e tutto ciò che ha a che può concorrere  all’attuale crisi mondiale.

 

Non c’è bisogno di ricordare che il contesto esistenziale  determina la chimica cerebrale e l’ideazione  e che quest’ultima filtra l’habitat secondo schemi e teorie della mente che sono in grado di far sentire un individuo in forte disagio. Ciò a lungo andare, per una serie di fattori che attengono anche ( ma non solo ) alla vulnerabilità individuale, può dar luogo a fenomeni di accumulo di tensione psiconervosa non più gestibile. Essa può tradursi   in una architettura ideica circostanziata, non aderente ad un assetto adattivo e produrre convinzioni di ineluttabilità, dove scorrono i titoli di coda e dove tutto sembra perduto o inutile. Da qui la costruzione di un progetto finale in cui risalti la rabbia, la vendetta, il riscatto e dove ci sia spazio per espiare i sensi di colpa anche attraverso l’autosoppressione.

 

Ritenere che tutto ciò sia frutto di gesti inconsulti tipici di  squilibrati  forse ci rassicura, ma non tiene conto di altre ipotesi più evidenti: l’invivibilità dei nostri tempi che a cadenza sempre più serrata producono individui  che, come schegge impazzite alla deriva,  compiono gesti  eclatanti.  Le “nuove follie” forse verranno  identificate in seguito, con un inquadramento nosografico  che pur di salvare  il concetto di norma  farà le pulci all’alveo della sfera individuale e dunque della responsabilità soggettiva,  così da avere  una rassicurante separazione  tra il sano rispetto al  malato. Ed a cascata la punibilità, le attenuanti, il vizio parziale di mente, la pericolosità sociale, e ciò che serve al Diritto penale per giudicare.

 

Il disadattamento  cronico  diventa intollerabile per molte persone che debordano in tanti modi, anche impugnando una pistola. Le perizie su questi soggetti sono ovviamente “post  facto” e dunque raramente sono in grado di mettere in sequenza  gli elementi  del  nucleo stressogeno che hanno scatenato l’atto. Per questo il giudice o il perito, che spesso si è formato un’idea, si convince di ciò di cui   era già convinto, andando a rintracciare nel quadro clinico del periziando quei sintomi sufficienti a calarlo dentro la descrizione di una diagnosi  perciò  forzata. E’  vero invece  che oggi  più di ieri  anche un soggetto  sottoposto ad un esame psichico a poche giorni da un gesto  criminale,  può non mostrare alcuna predittività allo stesso. Se chi risulta normale oggi,  domani può compiere gesti folli è segno che il contesto crea condizioni di sofferenza ingestibili per un numero sempre più crescente di  individui che non sono pazzi ma disperati.

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