Psiche e solitudine infelice

Psiche & Società di Roberto Cafiso da LA SICILIA del 24.10.16

DESTINATE A NAUFRAGARE I RAPPORTI NATI DALLA PAURA DI RIMANERE SOLI

Bukowsky, noto scrittore  e poeta di origine tedesca,    diceva: “ Accontentarsi di chiunque pur di non restare soli … Se dovessi spiegare a parole l’infelicità , lo farei così”. C’è il succo di rituali non ancora dismessi dalle usanze popolari, il mito del principe azzurro, della famiglia con figli e di una vita ordinata. Addirittura alcune ricerche sullo stress suggeriscono che gli uomini single hanno più probabilità di ammalarsi rispetto a quelli sposati. Un mandato naturale , genetico o culturale ?

Che l’individuo debba riprodursi non v’è dubbio. E’ nei suoi geni. Che per farlo ci sia bisogno di una unione ufficiale  è uno stereotipo multiculturale di tipo sociale a matrice anche religiosa. Le unioni stabilizzate danno certezze . Quelle di fronte al sindaco ne danno di più. Dinnanzi al sacerdote si assicurano  la benedizione divina. Insomma una corsa alla sistemazione ( termine forse desueto ma ad oggi  ancora vivo), ad una vita più regolare, con più attenzione alle responsabilità e meno ai  bollenti spiriti  giovanili.

Ma le unioni, come il latte mal conservato, sovente vanno a male ed ecco allora che un’orda di separati deve mettersi in pista per ricominciare alla ricerca di un principe o di una fatina . E’ vero che le pretese si ridimensionano dai  40  anni in su. E’ altrettanto vero che la corsa al nuovo partner può  ricominciare con più frenesia, perché l’orologio biologico corre  e a talune età e , specie per le donne, ad un certo punto  c’è il  rischio del :  “chi c’è , c’è”. L’ inno all’ infelicità di cui parla Bukowsky. L’incapacità angosciante  di percepirsi soli in un mondo ove è  prassi non esserlo.

Andare al cinema da soli, fare un viaggio senza qualcuno accanto. O trascorrere i weeck end  coi parenti e i figli a settimane alterne  da single, pare ancora oggi a molti un’esperienza da sfigati. Mentre in giro tutto ciò che si vede appare più fortunato del nostro destino. Persone a loro volta infelici  percepite come  favorite dalla sorte. Ciò vale spesso più per le donne che per gli uomini e sempre per motivi culturali. Un compagno o un marito sembrano a molte donne sole una panacea, talmente pesa la condizione  di nubile, divorziata o in alcuni casi anche vedova. E fanno male a costoro l’appartenenza esibita  di coetanee abbracciate in bella mostra  sul profilo  Facebook  che sottolineano: io ho un compagno accanto .

E qui salta agli occhi la frase del poeta. Accontentarsi di chiunque. Quanto ancora questo sia diffuso, sotto le mentite spoglie di un’evoluzione dei costumi, è difficile immaginarlo.  E’ vero che gli esseri umani non sono concepiti per vivere da soli. E’ anche vero che ciò non deve necessariamente comportare unioni  ad ogni costo, anche ai saldi, purché non ci si percepisca  abbandonati, per molti sinonimo di “fallito”, di “scartato” . Una trappola nemmeno troppo criptata, che ingabbia ceti e livelli di istruzione trasversali, talmente la consuetudine a questo livello è potentemente  generalizzata.

Le unioni a tutti i costi  si riveleranno dopo un po’ una delusione. E per chi ha già toppato una volta, la recidiva diventerà un palese insuccesso, in grado di minare l’autostima personale e l’intero bacino dei propri bilanci esistenziali . Un eccesso irrazionale, eppure ancor oggi frequente, in un conflitto mai superato tra il conformismo rassicurante e l’autonomia incerta. Non è affatto detto che la prima delle due opzioni sia la soluzione migliore. Spesso si è dimostrato il contrario, perché innamorarsi è un conto, scegliere è altro. Ma dipendere dalla condizione sociale pur condivisa è la trappola che ci fa scambiare il fine col mezzo. Il partner è quest’ultimo, lo status è il vero movente. Mentre  dovrebbe essere esattamente il contrario.

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