Psiche e vantaggi secondari

PSICHE & SOCIETA’  da la SICILIA dell’8.5.15

ROBERTO CAFISO

 

I MALATI CHE SUSCITANO PIETA’ PER EVITARE RESPONSABILITA’

 

In ogni screzio psichico, comportamentale  o  negli stessi disturbi mentali c’è un’area dei “benefici appresi” da parte di chi vi è affetto.  Una sorta di  “zona mista” ove il nucleo patologico   e il suo  artato  utilizzo   si mischiano e sono indistinguibili, come la convergenza e la fusione  di due mari.  Questi soggetti hanno appreso che suscitare pietà o  spaventare, che sono di norma i due repertori più comuni, consente loro  di ottenere vantaggi o comunque di evitare responsabilità ed impegni personali nella vita.

 

Come per gli ipocondriaci, che hanno imparato a ricercare attenzioni attraverso  la sintomatologia , anche queste condizioni  hanno  “armato”  la loro patologia  a scopi  pseudo adattivi, anche se raccoglieranno solo  briciole di benessere  e  soprattutto cronicizzeranno il loro status,  pur  di continuare ad ottenere  prerogative relazionali ed  affettive di tipo regressivo,  che non sanno  come conquistare in  modo più maturo.

 

L’addestramento dei congiunti al riguardo è essenziale per il miglioramento del quadro clinico, ovvero per il suo compenso. Quando i familiari assecondano pedissequamente le reazioni, tese ad  raggiungere  degli scopi  da parte del soggetto disturbato, in pratica   rinforzano costoro  nel repertorio, che invece andrebbe spezzato e direzionato verso richieste non ammantate né di  vittimismo  ed ancor meno   di ricatti e minacce  . Difficile ? Forse,  ma è anche il solo modo per ottenere cambi di rotta.

 

Piagnucolare o dichiarare di non farcela, gridare la propria indegnità, tocca l’emotività  delle persone care che quasi sempre, in qualche modo, si sentono responsabili della condizione esistenziale precaria del figlio o del congiunto.  Ed in effetti rischiano di diventarlo, ma non per i motivi  dell’esordio morboso, che spesso si è perso nella “notte dei tempi”, ma per il continuo   assecondare  il proprio caro, privandolo in tal modo di altre chance. Stessa cosa per il timore di gesti insani dichiarati o di modalità  di intimidazioni  rivolte alla famiglia. Non prendere contromisure, anche legali, vuol dire far  imputridire  il  “brodo di coltura”  ove pasce il paziente,  convincendolo dell’efficacia di questi comportamenti e di fatto relegandolo alla ripetizione degli stessi repertori.

 

C’è o ci fa ?  Talvolta  ci si domanda  di certi ragazzi con una personalità alterata, che giocano d’azzardo,  si ubriacano, usano droghe, trattano coi piedi l’alimentazione e il proprio corpo o altro ancora.   Entrambe le cose, il più delle volte.  Chi c’è d’altra parte  ci fa, perché non sa fare altro che utilizzare i propri  sintomi.  E  nessuno gli insegna altro. Dai parenti a certi trattamenti che si limitano a controllare solo i sintomi, ma non vanno al nocciolo del problema, che si riverbera sottoforma di modalità egocentriche e  pretenziose che ne aggravano la condizione e rendono alla famiglia la vita impossibile ogni giorno.

 

Famiglia che,  nonostante tutto,  asseconda e subisce lo strapotere di una condizione morbosa  amplificata a dismisura dai vantaggi appresi,  il cui ridimensionamento, attraverso  comportamenti volti a bloccarne lo strapotere, gioverebbe  all’intero quadro clinico. Il  pietismo è un disgraziato ingrediente culturale che a volte impedisce irrazionalmente (  considerato   ciò che produce ) modifiche sul piano dei rapporti. L’autorevolezza a volte può far male, ma meno dell’accondiscendenza che ,  silenziosamente,  conduce  molti pazienti verso una condizione di irrecuperabilità, sancendo  così  il loro destino.

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