Progetto Rinascita
PROGETTO RINASCITA
PREMESSA
La Comunità Rinascita è stata fondata nel 1983 ed è la prima struttura a operare in Sicilia e tra le primissime in Italia a occuparsi di dipendenze patologiche.
Operiamo da tanti anni e abbiamo più volte cambiato il nostro modello teorico di riferimento. Partendo dalle esperienze del Day Top americano di Phoenix House di Londra con cui gemellammo all’inizio, siamo passati, negli anni, a un approccio più clinico basandoci sulle metodiche cognitivo-comportamentali e in particolare sulla R.E.B.T. di Ellis.
Rinascita lavora con un metodo che viene verificato costantemente secondo un approccio a tre punte d’intervento. Quella individuale, quella gruppale e il trattamento delle famiglie in concomitanza col percorso residenziale.
Rinascita è, inoltre, specializzata nel trattamento delle recidive e della comorbilità utilizza tecniche quali il problem solving, le abilità sociali, la confutazione delle idee irrazionali, l’espressività emozionale, l’alternativa alla risposta compulsiva e tutto ciò che costituisce l’impianto teoretico della modificazione del proprio modo di pensare e perciò di comportarsi nella vita.
La Comunità ospita non solo soggetti con problematiche tossicomaniche ma, da circa dieci anni, anche soggetti con doppia diagnosi che rappresentano circa il 70% dei residenti. Vengono inseriti, anche, soggetti con altre dipendenze patologiche quali “gad” (dipendenza da gioco d’azzardo), dipendenze da internet, etc.
ACCOGLIENZA
Servizio di accoglienza e orientamento
L’Accoglienza è una fase che si ritiene utile e necessaria al fine di preparare il soggetto al programma terapeutico di comunità. Essa intende aiutare l’utente a fare una scelta chiara, responsabile e consapevole nonché a rendere più solida la motivazione ad abbandonare lo stile di vita deviante e non sano. Inoltre, viene stimolato a raggiungere i prerequisiti necessari a seguire il programma.
Accettazione
In un clima di accettazione e di empatia, il primo contatto con il tossicodipendente tende alla conoscenza della sua esperienza tossicomanica, della storia personale, nonché della motivazione a superare la dipendenza. Ciò serve a stimolare fiducia in se stesso e ad assicurare sostegno psicologico nel contesto del “progetto ” terapeutico chiaramente definito. Solo in un secondo momento vengono compilate schede anamnestiche e somministrati test di personalità (M.M.P.I., questionari).
Progetto terapeutico (colloqui)
I colloqui mirano ad approfondire la conoscenza del soggetto e a definire e/o ridefinire la richiesta di aiuto. Nel corso dei colloqui vengono date le prime prescrizioni comportamentali che riguardano il rispetto del proprio corpo. Durante questo breve periodo (sette/dieci giorni) si stabilisce parallelamente un’intesa di collaborazione con i familiari e al fine di sostenere il richiedente a ricominciare una vita più impegnata e responsabile. L’attività di seguito descritta (lavori quotidiani, gruppi) ha lo scopo di definire il contratto terapeutico e di orientare il soggetto al canale riabilitativo più idoneo. Le occasioni che favoriscono questo processo sono:
a) lavori quotidiani
Lo svolgimento di lavori consente agli operatori di approfondire il rapporto con il giovane e di osservarne le eventuali difficoltà in un contesto diverso. Il soggetto viene sostenuto a riflettere sulla vita precedente e sulle inadeguatezze nonché a scoprire le sue potenzialità.
b) gruppi
Il gruppo rappresenta un’occasione importante per il soggetto che apprende da questa esperienza quali benefici si traggono dalla comunicazione della propria storia personale e dal riaffiorare di sentimenti ed emozioni. Nel confronto con gli altri l’unità del gruppo (stavolta su basi diverse dalle precedenti) se da una parte facilita la consapevolezza del disagio psicologico, affettivo, emotivo e relazionale, dall’altra offre le condizioni per chiedere sostegno psicologico. Il soggetto comincia così a scrollarsi di dosso le difese caratteristiche della patologia (l’arroganza, la disonestà, la devianza…) e si apre a valori più saldi e proficui. I gruppi si tengono due volte la settimana: uno di verifica degli obiettivi individuali nella settimana precedente e l’altro di confronto.
Preparazione alla Comunità
Il soggetto, orientato verso la Comunità Terapeutica, continua l’attività precedentemente descritta. Viene particolarmente curata la conoscenza del programma e delle regole della vita comunitaria. La motivazione ad intraprendere l’esperienza socio riabilitativa è verificata dal raggiungimento dei seguenti prerequisiti disposti gerarchicamente e funzionalmente tra di loro:
a) rendersi conto della dequalificazione della vita precedente;
b) voglia di ridefinire la propria persona;
c) aprirsi a prospettive di valori più profondi;
d) espressione di sentimenti ed emozioni;
e) affidarsi agli altri;
f) imparare a chiedere sostegno;
g) consapevolezza ed accettazione delle proprie inadeguatezze.
Il soggetto entra in Comunità se, previa richiesta, viene ritenuto pronto a iniziare questa esperienza.
TRATTAMENTO COMUNITARIO DEI TOSSICODIPENDENTI
Premessa
L’esperienza sul campo ci ha consentito di non uscire a sconfiggere l’ipotesi secondo la quale il sistema familiare è una variabile di una certa rilevanza nel fenomeno tossicomanico. Pertanto, vengono coinvolti nella terapia, sin dalla prima richiesta di aiuto, i genitori del soggetto e nel caso che quest’ultimo sia coniugato, il partner.
Lo scopo è quello di rendere ottimale il loro intervento di aiuto nei confronti del soggetto, in sintonia e coerentemente alle linee terapeutiche. Successivamente, nella fase di accoglienza, la collaborazione diviene più fitta e si intrinseca attraverso il flusso di informazione tra operatori e genitori.
Questo nuovo scenario che si è venuto a creare nelle relazioni familiari, da quando il soggetto non assume più sostanze stupefacenti, facilita la creazione e il mantenimento di nuove basi nelle relazioni(in particolare tra i genitori e il figlio) che costituiscono per gli operatori un’altra area di interesse terapeutico. Quindi viene approfondita la conoscenza della personalità dei genitori con particolare riguardo alle eventuali inadeguatezze educative e relazionali mediante colloqui, questionari e test di personalità.
Gruppo di auto-aiuto
L’equipe del Centro, consapevole delle difficoltà e del dramma che vivono le famiglie dei tossicodipendenti, attraverso il gruppo di auto-aiuto intende offrire ai genitori dei soggetti in Accoglienza e a quelli i cui figli non hanno ancora deciso di rivolgersi un’occasione di riflessione sui problemi comuni che ciascuno vive.
Il gruppo di auto-aiuto ha lo scopo di stimolare la rielaborazione dell’esperienza con il figlio tossicomane e di sostenere psicologicamente quei genitori che hanno la necessità di riorganizzare le loro energie per sollecitare la richiesta di aiuto da parte del figlio tossicodipendente.
L’aiuto vicendevole che i componenti del gruppo imparano a darsi e la consapevolezza di non essere più soli offrono ai famigliari la possibilità di uscire dallo smarrimento, dal disorientamento, dalla solitudine e dall’importanza nei confronti del problema.
Il gruppo di auto-aiuto so riunisce una volta la settimana.
TERAPIA DELLE FAMIGLIE
Quando il soggetto inizia il programma terapeutico, i genitori sono invitati a seguire la terapia delle famiglie mediante la partecipazione ai gruppi che si tengono sia a Siracusa che in una sede del Nord Italia per i genitori di utenti provenienti dal Centro-Nord.
Inoltre, mensilmente viene offerto alle famiglie un ulteriore stimolo alla crescita attraverso training mirati ad una migliore gestione di se stessi e delle relazioni interpersonali (assertività, abilità sociali, etc.) e attività seminariali che hanno lo scopo di far conoscere più approfonditamente la terapia dei residenti nonché di rafforzare la motivazione al percorso terapeutico personale.
Ai genitori viene consegnata una guida per fare loro conoscere il programma di terapia delle famiglie e facilitare il perseguimento di obiettivi inerenti la crescita nella dimensione personale, di partner e di educatore. La finalità è quella di tentare di promuovere una esperienza di cambiamento parallelamente a quella del figlio.
La comunanza e l’affinità delle esperienze, l’atteggiamento di umiltà e di ascolto, in un clima di solidarietà, facilitano la comunicazione del vissuto nonché delle difficoltà incontrate, non ultime quelle intrise di sofferenza e di disagio, riguardante il difficile rapporto con il figlio.
Così i vari problemi liberi, da facili ma inutili colpevolizzazioni e vittimismi di maniera, si prestano ad essere analizzati più serenamente.
In conclusione la terapia delle famiglie vuole essere un’esperienza di crescita, di consapevolezza e gestione dei vari ruoli della persona all’interno del sistema familiare.
STRUTTURA
FASE A: mesi 2
1) ambientamento: mesi 1
2) inserimento “ 1
FASE B: mesi 8
FASE C: mesi 4
RIENTRO: mesi 2
Protocollo terapeutico
Il programma è strutturato in quattro fasi della durata complessiva di circa 16 mesi:
FASE A
Durata di circa 2 mesi.
AMBIENTAMENTO: L’utente viene introdotto nella dimensione comunitaria.
Gli obiettivi da raggiungere: aderenza alle regole, capacità di entrare nei ritmi comunitari, di rispettarla puntualità nella varie attività, di impegno nella pulizia degli ambienti e personale. Sviluppare ulteriormente la motivazione.
Inoltre: impegno nell’espressione delle tendenze verso la sostanza e dei pensieri di evitamento attraverso adeguato confronto con lo staff.
Alla fine del periodo: schema di autovalutazione, confronto col gruppo e valutazione di verifica dello staff.
INSERIMENTO: 1 mese circa: si lavora sulle carenze rilevate nella precedente scheda.
FASE B
Comunitaria: durata 8 mesi circa. Dopo un primo periodo di “ambientamento” in cui il residente, con adeguati sostegni, viene introdotto nella dimensione comunitaria, ha inizio il lavoro su se stessi in termini di conoscenza delle proprie difficoltà attraverso la sperimentazione delle stesse nella quotidianità comunitaria. Successivamente tutto il lavoro è finalizzato all’acquisizione di nuovi valori in riferimento ad un nuovo stile di vita, alla conoscenza e alla gestione degli impulsi, alla tolleranza, alle frustrazioni, alla capacità di dare, all’acquisizione di abilità sociali e di modelli internazionali soddisfacenti ed adeguati ad ogni singolo soggetto. Alla fine di questa fase, il residente inizia a verificare, attraverso rapporti guidati con l’esterno, il grado reale di interiorizzazione delle acquisizioni fatte.
Gli strumenti utilizzati sono allineati alla terapia REBT, al confronto del gruppo dei pari, alla scheda mensile di autovalutazione, ai colloqui terapeutici con lo staff.
Alla fine di questo periodo è previsto un time-out che varia dai 5 ai 7 giorni. Il residente, in una situazione di “temporanea sospensione” lavora da solo, interagisce col gruppo solamente nei momenti dei pasti e del dopo cena, opera un’intensa riflessione su se stesso e sulle sue acquisizioni oltre alla verifica della sua tenuta psicologica.
E’ prevista una verifica a casa presso la famiglia della durata di 5/7 giorni.
FASE C
Dura circa 3/4 mesi.
L’obiettivo di questa fase è relativo la lavoro, interno o esterno alla Comunità, con orari prolungati e strutturati che si avvicinano a ciò che sarà l’inserimento lavorativo all’esterno. La finalità è quella di sperimentare una condizione lavorativa in termini d’impiego, di gestione personale, di capacità relazionale e di gestione delle frustrazioni.
In questa fase si prevede anche, a discrezione dello staff, un’attività di solidarietà e socializzazione.
Sempre a discrezione dello staff, nei confronti e nelle modalità, sono previsti controlli delle urine ed alcol test.
Tra gli strumenti terapeutici: schede di autovalutazione, confronto di gruppo, colloqui terapeutici con lo staff, esercizi REBT.
FASE DI RIENTRO
Durata 2 mesi
Ricerca del lavoro esterno
Ricerca abitazione
FOLLOW-UP
Follow-up diacronico per circa due anni dalla conclusione del programma. I residenti effettuano delle verifiche periodiche di sostegno al reinserimento. Successivamente vengono contattati per verificare gli obiettivi raggiunti.
Rispetto al protocollo terapeutico, la durata dei tempi è ovviamente indicativa in quanto ogni residente è individuo a sé, con le sue difficoltà, le sue problematiche, con i suoi specifici tempi di crescita.
Giornata tipo in comunità
ore 07.00 Sveglia
ore 07.30 Colazione
ore 08.00 Pulizia personale e lavori in stanza
ore 08.15 Come stai di gruppo
ore 09.30 Inizio lavori dipartimento
ore 11.00 Pausa
ore 12.30 Fine lavori mattina
ore 13.00 Pranzo
ore 13.30 Pausa
ore 15.00 Sveglia
ore 15.30 Inizio lavori dipartimentali
ore 16.30 Fine lavoro – ginnastica – attività libera
ore 17.45 Merenda
ore 18.15 Docce
ore 19.15 Pausa
ore 20.00 Cena
ore 21.00 Tempo libero (TV, giochi di gruppo)
ore 23.00 Buona notte
RAPPORTI DEL RESIDENTE CON LA FAMIGLIA
Sin dall’ingresso il residente può intrattenere rapporti epistolari con la famiglia.
Dopo 1 mese dall’ingresso si potrà usufruire di telefonate con la famiglia con cadenza quindicinale.
La visita familiari è bimestrale e si acquisisce dopo il 2° mese di permanenza.
Le famiglie potranno chiedere informazioni sull’andamento terapeutico dei congiunti la seconda e l’ultima domenica del mese dalle 14.30 alle 16.00
LA TERAPIA IN COMUNITA’
La Comunità terapeutica ha come obiettivo dell’intervento la persona con il suo disagio. Focalizzarsi sulla tematica droga sarebbe riduttivo e poco utile nella strutturazione di nuovi sistemi di riferimento. In comunità pertanto si parlerà dell’esperienza tossicomanica non in senso di colpevolezza ma in modo occasionale per fare rilevare al residente che, in mancanza di strumenti cognitivi e comportamentali adeguati, s’è visto costretto all’uso compensativo della sostanza.
Visto che ragionevolmente l’uso dello stupefacente è inopportuno e dannoso e produce tutta una serie di conseguenze sul piano psichico e fisico è possibile affermare che è raro scegliere di drogarsi. Viceversa la persona deve tendere ad una scelta e quindi trovarsi nella possibilità e nella condizione di avere più di una alternativa.
I principi basilari di una comunità terapeutica sono, nelle linee generali, condivise un po’ da tutti i programmi, “Rinascita” compresa:
- infondere fiducia in se stessi
- creare un sentimento d’insieme e una dimensione affettiva facilitante il cambiamento
- alimentare l’altruismo secondo il criterio in base al quale amare è più arricchente che l’essere amato
- addestrare alla socializzazione (abilità sociali)
- esaminare situazioni d’origine (familiari)
- ritrovare un’identificazione
Il programma terapeutico più specifico concerne i seguenti punti:
a) revisione critica del proprio fallimento
b) revisione critica dei propri sistemi di riferimento
c) identificazione di una proposta alternativa al proprio agito
d) tolleranza alle frustrazioni
e) confutazione delle idee irrazionali
f) sperimentazioni di abilità sociali ed emozionali
LA SPIRALE
I precedenti punti costituiscono il percorso terapeutico del gruppo e della persona e focalizzano, come si nota, il versante cognitivo e quello emotivo. Il prerequisito è un addestramento all’introspezione e all’analisi critica dei propri pensieri. Il soggetto è abituato alla confabulazione e alle fantasticherie che sovente alzano il livello d’ansia e di depressione. Il soggetto inoltre arriva rapidamente ad auto svalutazioni che, come in un circolo vizioso, rafforzano l’uso della sostanza: “Non valgo – “mi drogo” – non valgo…”.
BELIEF SYSTEM
Uno dei punti basilari del trattamento è quello di dimostrare come tutti gli eventi siano neutri di per sé, ovvero la maggior parte di essi, e come la reazione emotiva e/o comportamentale non è conseguenza diretta dell’evento ma del nostro modo di pensare. Non è alla portata individuale cambiare gli eventi e comunque non è un obiettivo prioritario. Per modificare reazioni emotive e/o comportamentali è necessario modificare i propri sistemi di riferimento, cioè i propri pensieri al fine di inserirli in una prospettiva più vantaggiosa per il benessere personale. Molti disagi sono provocati dall’incapacità dell’individuo di sapere esprimere adeguatamente se stesso nel contesto sociale.
ABILITA’ SOCIALI
L’apprendimento di nuove abilità sociali, in un atteggiamento di assertività, è in grado di auto-rinforzare l’individuo (e indirettamente sottrarlo alla dipendenza affettiva) e sottrarlo sensibilmente alle frustrazioni derivanti da un porsi in maniera sostanzialmente non adeguata alle circostanze. Assertività e abilità sociali spingono un individuo a esprimere se stesso senza il timore di essere giudicato, a esser chiaro, ad auto legittimare il proprio comportamento espresso nella maniera più consona alla situazione.
In questo quadro rientra anche la ricerca della dimensione affettivo – emotiva più idonea alla persona. Saper esprimere sentimenti, emozioni, saper ridere sinceramente o piangere accettare un momento depressivo o un’eccitazione di gioia significa saper vincere con se stessi. Saper chiedere aiuto, ammettere una propria debolezza vuol dire manifestare un livello di accettazione di sé e degli altri (sulla base di similitudini tra individui).
TOLLERANZA ALLE FRUSTRAZIONI
Un’attenzione a parte merita l’addestramento alla tolleranza delle frustrazioni. Per quanto l’individuo sia competente socialmente, abile dal punto di vista comportamentale, può verificarsi ugualmente un insuccesso, un’ingiustizia, il dover insomma subire un evento non preventivato. La frustrazione accompagna la vita dell’uomo e al di là di ogni cosa ci si deve abituare a temprarsi di fronte ad essa. L’addestramento diventa fondamentale. Esso consiste nell’esercitarsi ad affrontare situazioni indesiderate, lavorando sul piano cognitivo per controllare il momento emotivo (che dipende dal soggetto) e quindi la sua reazione. Alla vecchia soluzione di fuga e rabbia, vengono proposte in alternativa l’adattamento, l’accettazione e l’evitamento della generalizzazione di quell’esperienza negativa su una valutazione generale dell’individuo. L’isolamento dell’evento frustrante (“Ho fallito, ma non sono un fallito in tutto ciò che faccio”) aiuta a una rielaborazione più realistica dell’evento, privo di caratteristiche patogene quali: drammatizzazione, assolutizzazione, ineluttabilità di eventi similari a catena.
IDEE IRRAZIONALI
Proprio il lavoro sulle idee irrazionali ha uno spazio nel trattamento durante la prima fase, interfase e seconda fase. Tutti noi impariamo, per pressione di una cultura socialmente condivisa, a essere ben pensanti prima ancora di saper pensare (La Barre) ed elaboriamo tutta una serie di aspettative su noi stessi (modelli familiari o peggio solo proposte) irrealistiche e obiettivi non necessari o che non servono immediatamente a noi, ma all’idea che di noi ci siamo fatti e che riteniamo gli altri abbiano.
Se falliamo questi obiettivi siamo dei falliti e ci deprimiamo. La droga può essere ad esempio una soluzione. Se viceversa elaboriamo una scala di obiettivi più verosimili alla nostra portata, impariamo a conoscere i nostri tempi di realizzazione e ci rapportiamo solo con essi (e non con i tempi altrui) potremo più semplicemente arrivare a un’autonomia di giudizio e alla soddisfazione dei nostri bisogni.
Le idee irrazionali (Ellis) più comuni sono:
a) una persona necessita dell’approvazione degli altri o almeno delle persone più importanti del proprio ambiente;
b) una persona deve essere sempre pienamente competente e sotto controllo, viceversa è un fallimento (o un guaio) sul piano del valore intrinseco;
c) è terribile ed inaccettabile che le cose non vadano come io desidererei che andassero;
d) che l’infelicità mia o di altri abbia cause esterne e che le persone (io) non hanno alcuna capacità di controllare emozioni, fastidi, reazioni;
e) che è più facile evitare che affrontare certe difficoltà dell’esistenza o certe responsabilità;
f) che una persona debba dipendere da qualcuno più forte di lei, sul quale fare affidamento;
g) che la storia passata di una persona sia un fattore determinante per il suo comportamento presente e futuro e che è perciò inevitabile ripetere taluni errori a causa di questi “solchi” incolmabili.
Anche la confutazione di tali idee o modi di pensare richiede esercizio, verifica e sperimentazione. “Rinascita” addestra i residenti che hanno particolari difficoltà ad esaminare realisticamente questi o altri pensieri a questi secondari, ad un’analisi anche scritta di un pensiero e alla sua o meno dimostrabilità e quindi alla sua falsificabilità.
L’OPERATORE UN FACILITATORE
E’ ovvio che tali operazioni devono prevedere l’iniziale clima di fiducia da parte del residente nei confronti dell’operatore. L’operatore deve attuare o deve saper attuare ciò che propone al residente, viceversa il modello non è credibile. L’operatore non deve proporre soluzioni non ancora alla portata del soggetto e deve perciò allestire proposte a breve termine, viceversa il modello non è percorribile dal residente. Il clima emotivo del gruppo, la sua gestione e la sua permeabilità favoriscono il processo di cambiamento. L’isolamento del giovane rispetto alla realtà esterna e alle proposte contraddittorie caoticamente effettuate, aiuta quest’esame di se stessi e del mondo, riducendo le variabili di disturbo non controllabili durante i trattamenti ambulatoriali. E’ questo un motivo in più del perché la comunità residenziale offre il clima più favorevole alla modifica dei comportamenti e prima ancora dei modi di pensare.
GRUPPO DI TIPO PRIMARIO
Il lavoro così articolato e sintetizzato non può prevedere, come è ovvio, un folto gruppo. Un gruppo troppo numeroso trascurerebbe molti particolari dei singoli, che sono fondamentali spie del sistema dei valori di ognuno. Ecco perché questo modello pare funzioni in modo elettivo con un massimo di 15 residenti per struttura e almeno quattro operatori più un responsabile del trattamento e della coesione interna dello staff. Il supervisore, ovviamente, non è inserito nei turni ma deve conoscere giornalmente la realtà dei singoli, così da mantenere un livello di conoscenza operativa massiccia, pur non essendo coinvolto nella dinamica giornaliera del funzionamento della struttura, proprio per poterne evidenziare i momenti di revisione e di messa in discussione.
ATTIVITA’ LAVORATIVA
Il lavoro in Comunità non rappresenta un momento a sé stante del programma ma è parte integrante della terapia stessa e prevede un graduale processo di responsabilizzazione del residente.
In Comunità la gestione della casa è affidata agli stessi residenti e il lavoro è organizzato in “dipartimenti” le cui competenze vengono fissate a secondo del numero dei residenti e delle possibilità ambientali. Un’organizzazione tipo è rappresentata dalla costituzione dei seguenti dipartimenti: Cucina – Pulizia casa – Lavanderia – Manutenzione Giardino.
Ogni dipartimento è composto da una squadra di 3-4 persone (la portata della squadra varia relativamente al numero dei residenti della comunità stessa) ed ha come responsabile un residente che per “meriti personali di crescita” ha raggiunto il ruolo di capo-dipartimento (C/D).
MOMENTI TERAPEUTICI E DI VERIFICA
Le occasioni terapeutiche vengono fissate in alcuni momenti di terapia ufficializzata quali:
COME STAI
E’ un momento terapeutico mattutino condotto dall’operatore, nel corso del quale ciascun residente fa riferimento al suo stato d’animo, esprime le sue difficoltà e riceve indicazioni e obiettivi rispetto a esso a breve scadenza. Essi, peraltro, vengono poi verificati a fine giornata in un altro momento di gruppo ed eventualmente riproposti nei giorni successivi. Il residente annota tali indicazioni sul suo quaderno personale per avere un promemoria terapeutico e per consentire all’operatore di avere una verifica su quanto da lui proposto.
GRUPPO DI CONFRONTO
Il residente formula richiesta di confronto, su un apposito stampato, con un altro residente per difficoltà con lo stesso o con l’intero gruppo per un confronto-aiuto sulle
difficoltà del momento.
GRUPPO EMOZIONALE
Il residente formula una richiesta su un apposito modello relativa ad un bisogno o un vissuto emozionale nei confronti di un altro residente o del gruppo.
E’ una occasione di addestramento alla permeabilità affettiva e alla espressività dei modulati intimi.
STAFF
Per avere uno staff di operatori che sia coeso e che funzioni terapeuticamente occorre non solo che questo venga selezionato in base a criteri di professionalità, di motivazione e di etica personale, ma anche che venga seguito e curato sia a livello di singole individualità sia a livello di gruppo.
Il dover trattare quotidianamente dinamiche individuali e interpersonali comporta, in ciascuno operatore, il riaffiorare di tematiche legate sia al proprio vissuto sia all’interazione con gli altri operatori. Queste tematiche, se non vengono affrontate e gestite in modo funzionale, possono costituire ostacolo nell’operare quotidiano dello staff, appannando il modello di cambiamento che lo stesso rappresenta per i residenti.
Altro requisito indispensabile dello staff e l’unitarietà di intenti nell’intervento. Un intervento approssimativo o peggio contraddittorio da parte di un operatore, sarebbe destabilizzante per il residente e incoerente per lo staff che apparirebbe precario, quindi perderebbe della sua significatività. Occorre, perciò che le informazioni vengano trasfuse in maniera uniforme, chiara e capillare sia attraverso il verbale di giornata sia attraverso uno scambio di impressioni al momento del passaggio delle consegne. Inoltre, la riunione del gruppo-staff, oltre ad essere funzionale alla chiarificazione di dinamiche all’interno e all’esterno dell’attività lavorativa da parte degli operatori, consente di analizzare in gruppo i singoli casi e stabilire in maniera univoca una modalità comune d’intervento.
L’interscambio fra gli operatori e la supervisione del coordinatore della terapia riducono, pertanto, parecchio gli eventuali individualismi.
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