Riflessioni su alcuni aspetti patogenetici della depressione (M. Cafiso)
CAFISO M.*
Sulla depressione resistente alla terapia e su quella cronica insistono certamente fattori relazionali e sociali. Dagli anni settanta ad oggi (criteri per la depressione secondo il DSM IV) diversi sono stati i tentativi di molti autori di formulare i concetti di depressione resistente e cronica. Il primo si rifà ovviamente ad un periodo che intercorre dopo un adeguato trattamento farmacologico con antidepressivi, il secondo si riferisce ad una caratteristica peculiare di talune forme depressive, a prescindere dalla terapia farmacologica o psicoterapica. E’ appena il caso di ricordare che non esiste un continuum tra le depressione resistente e la cronicità. Ognuna delle due forme ha caratteristiche a sé stanti e non necessariamente la prima deborda o diventa cronica.
Per poter parlare di depressione resistente occorre essere certi della corretta diagnosi, della buona prassi terapeutica eseguita, inclusa la tipologia della molecola antidepressiva prescritta, il dosaggio, la durata del trattamento e ovviamente la compliance del paziente. Dovrebbero essere escluse patologie concomitanti di tipo organico interferenti o sovrapponibile alla depressione franca.
Secondo più di un autore la depressione resistente non risponde al trattamento entro 3 mesi, mentre quella cronica dura più di due anni a prescindere dal trattamento o meno. Heimann nel 1974 sottolinea la resistenza specifica ad una tipologia di trattamento (resistenza parziale) rispetto a quella osservata dopo ogni tipo di intervento (resistenza assoluta). La Word Psichiatric Association subordina sia la prima che la seconda forma di resistenza all’ appropriatezza del trattamento.
Secondo Kielholz (1986) qualora siano stati somministrati antidepressivi con un corretto schema posologico e non si è osservato alcun miglioramento della
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- Medico chirurgo, operatore volontario presso l’U.O. di “Psicodiagnosi e piano di trattamento” della Comunità Rinascita (Siracusa)Formazione Psichiatrica n. 1 e 2 – Gennaio / Giugno 2006
sintomatologia, è possibile parlare di depressione resistente. Altri autori, come Shaw, sottolineano l’importanza della compliance del paziente. Akiskal (1989) precisa che il trial terapeutico è da monitorare all’interno della relazione medico- paziente, molto importante per il successo della terapia.
La depressione cronica viene definita invece come una forma stabilizzata e contenuta della malattia. Si osservano in particolare ruminazione ideative, lamentosità, e talvolta idee pre-deliranti stereotipate, di scarso contenuto logico. Robins (1969) definisce cronica la depressione con una compromissione sociale e lavorativa. I criteri del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Desorders definiscono cronica una depressione i cui sintomi permangano per due o più anni.
Secondo Gagliardi, Ferrero, Lorusso e Barale (1998) le due forme di depressione e la loro definizione risentono del periodo di osservazione e dei criteri di valutazione adottati. Gli autori, per le forme resistenti, citano in particolare Lehamann (1974): 30-40% di casistica. Kielholz (1979): 10%.Lamein (1980): 30%. Altamura (1991):30%. Per quelle croniche ci si rifà alle osservazioni di Kraeplin (1921): 45%. Robins e Guze (1969): 12-15 %. Keller (1991): 20%. In media le depressioni resistenti si attestano a 30% circa. Le croniche variano in un ampio range (dal 4,5 al 20%).
Esistono per Gagliardi, Ferrero, Lorusso e Barale alcuni fattori-spia in grado di predire la resistenza o la cronicità del trattamento. Tra questi: la durata significativa di antecedenti; l’esordio della patologia dopo i 65 anni; il sesso femminile; l’utilizzo pregresso di “farmaci depressogeni (reserpina, alfametildopa, steroidi anabolizzanti, proprandolol, l’alcol)” e la comorbilità con disturbi fisici e psichici.
In particolare, oltre alla rilevanza della trasversalità delle noxe biologiche, è importante la valutazione del paziente della propria condizione somatica, che integra il concetto di perdita (del proprio stato di benessere) e da qui lo scivolamento depressivo.
Le patologie fisiche di maggiore “accesso alla depressione” sono quelle relative alla tiroide, il Parkinson, la Sclerosi Multipla, 1′Alzheimer, le malattie cerebrovascolari e quelle-più in genere-debilitanti. Tra quelle psichiche: i D.A.P., la G.A.D., il D.O.C., il D.P.T.S..
Ovviamente anche le dipendenze patologiche o quelle sociali (co-dipendenza) innescano auto – svalutazione da incapacità di superare lo stato riconosciuto come patologico. Inoltre altri fattori predisporrebbero alla depressione resistente o cronica:
• Alti valori di nevroticismo (scala Eysenck Personalità Inventory).
• La percezione temperamentale depressiva (Akiskal e coli.; Koukopoulos e coli. 1983), in cui predomina l’anedonia, scarsa stima di sé, inadeguatezza, psicastenia, colpa.
Cafiso M. – Riflessioni su alcuni aspetti patogenetici della depressione
• La presenza di un disturbo di personalità, ovvero eventi traumatici nell’infanzia o nell’adolescenza, stressor ambientali ripetuti, vantaggi secondari della malattia.
Alcuni disturbi di personalità, come accennato (il borderline come sintesi di tutti gli altri), limitano l’efficacia del trattamento, sia per la ritrosia del paziente ad affidarsi al medico e ai farmaci, sia per la discontinuità tipica di certi d.d.p. ad eseguire correttamente e portare a termine compiti ed indicazioni. Questi pazienti, che solitamente vedono compromesso il loro funzionamento sociale dall’alternanza di stati emotivi contrastanti e dagli acting out, in caso di depressione (fallimenti personali, lutti, perdita….) hanno più difficoltà a riorganizzarsi in modo funzionale.
Il loro incedere ripetitivo, poco permeabile alle esperienze e il senso di vuoto costante che caratterizza la loro affettività, li porta a sviluppare depressioni resistenti e/o croniche più di altre condizioni morbose.
In altri casi la condizione depressiva ha il significato di compensare il malato rispetto alla sfiducia in sé stesso, alla mancanza di prospettive e alla certezza di ulteriori fallimenti. Siccome nella nostra società l’unica condizione accettabile per l’inattività sociale o lo scarso funzionamento lavorativo è la malattia, la depressione può rappresentare la strategia per non perdere quanto meno l’affetto o persino la commiserazione delle persone considerate significative.
Tra i vantaggi secondari della depressione è da citare Bibring (1953) che ha osservato che alcuni depressi utilizzano i loro sintomi per sadicizzare o ricattare affettivamente persone a loro vicine. Ciò, secondo l’autore, è una modalità di espressione di impulsi distruttivi altrimenti non agibili. Questa tipologia rende vittima il paziente e le persone a lui vicino.
È possibile osservare come una struttura nevrotica possa in qualche modo diventare terreno favorevole per una depressione che diventando modo d’essere e quindi esistenzialità, finisce col diventare cronica. Ma questo radicamento è un tutt’uno con i sintomi, è inscindibile e perciò non curabile se non con una profonda, ardua e dolorosa rivisitazione dei sistemi di riferimento individuali.
La cronicità secondo altri autori (citiamo Brown, 1994) è molto influenzata dalle esperienze di abbandono patite nell’infanzia e dalle difficoltà, violenze ed abusi. Questi avvenimenti minano agli albori la personalità, che resta vulnerabile rispetto a stressor superabili dalla gran parte degli individui privi di questa anamnesi.
Questi pazienti spesso idealizzano un periodo di serenità mai vissuto e lo ricercano incessantemente ed in modo ripetitivo a scapito della realtà, col risultato di restare frustrati e incapsulati nel loro convincimento di essere costantemente rifiutati.
Le circostanze neurobiologiche e quelle personologiche ed esperenziali nella depressione sono difficilmente scindibili. Per questo un trattamento integrato, farmacologico e psicoterapico, sembra quello meglio in grado di incidere sulla maggior parte degli aspetti in gioco nelle depressioni, anche se recentemente l’impianto sperimentale di un micro pacemaker sotto la clavicola sinistra (Vagal nerve stimulation) utilizza il nervo vago per inviare input dosati al cervello. Queste tecniche di neurochirgia funzionale, ideate per curare sindromi quali il Parkinson o la Tourette, agiscono sul locus ceruleus e sulle regioni ricche di cellule nervose noradrenergiche e serotininergiche, deputate al controllo dell’umore. Queste tecniche sperimentate dal “Brain Stimulation Group” dell’Università di Bonn potrebbero apportare notevoli contributi alle depressioni croniche o resistenti alle attuali terapie farmacologiche specifiche.
Formazione Psichiatrica n. I e 2 – Gennaio / Giugno 2006
RIASSUNTO
Viene effettuata una panoramica teoretica sulla depressione resistente e su quella cronica, esaminando i contributi più accreditati ed i criteri diagnostici. Si tratta di due entità nosografiche solo apparentemente simili o l’una confluente sull’ altra. In realtà le due forme si caratterizzano per tipologia di insorgenza, sintomatologia e cause. Fondamentali per la compliance terapeutica la relazione col medico per la maggior parte degli autori.
SUMMARY
A theoretical panning is effected on the resistant depression and on that chronic examining the most accredited contributions and the diagnostic criterions.
It apparently deals with two entities alone nosografiche similar or the one confluent on the other. In reality the two forms are characterized for typology of onset, sintomatologia and causes. Fundamental for the therapeutic compliance the relationship with the physician for the most greater part of the authors.
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