Psiche, cervello e bimbi

Roberto Cafiso (LA SICILIA del 28.11.16)

EDUCARE I GENITORI PER EVITARE TRAUMI INFANTILI CHE CRESCERANNO COI FIGLI

Sono circa centomila in Italia, ma è la punta di un iceberg.  Sono i bambini  affidati ai Servizi sociali. Bambini maltrattati, violentati o deprivati con un futuro incerto, faticoso e costoso per lo Stato. I bambini traumatizzati nei primi anni subiscono modificazioni di alcune strutture cerebrali ancora in formazione, tra cui l’ippocampo e l’amigdala.  Queste strutture vengono bersagliate nei rush di sofferenze indotte dagli ormoni dello stress ( i glucocorticoidi ) col risultato di una vulnerabilità d’organo con memorie traumatiche specifiche e una bassa soglia di stimolazione ansiosa.

A differenza delle memorie traumatiche da evento acuto ( un incidente, un terremoto, …. ), quelle da deprivazione cronica sono immaginifiche e producono reazioni senza rievocazione cosciente e mancano di un riferimento semantico caratteristico , a differenza delle memorie da singolo evento. Inoltre ormai sappiamo che i traumi infantili poliformi  sono in grado di produrre  alterazioni di mediatori nervosi quali noradrenalina, dopamina, serotonina. E’ un circolo vizioso : un bambino oggetto di abusi e scarse attenzioni patisce lo sregolamento dei recettori serotoninergici che diventano ipersensibili. Da qui una maggiore  risposta ad eventi stressanti o ansiogeni che si verificheranno nell’età adulta.

Un trauma infantile si riverbera nel comportamento adulto perché si modifica la biologia cerebrale. Gli attacchi di panico, certi disturbi di personalità e quelli del cluster B in particolare,  l’ansia o una propensione depressiva,  possono affondare le loro radici in alcune situazioni deprivanti dell’infanzia. E’ terribile pensare come il destino di un essere umano possa essere in mano a  genitori anaffettivi e scellerati. Ed è importante sottolineare come questo disagio permanente da adolescenti potrà spingerli ad un tentativo di auto medicamento attraverso l’uso di sostanze stupefacenti o di alcol. I bambini maltrattati non a caso hanno di frequente un ridotto sviluppo della corteccia prefrontale  e questo anche se non si sono verificati i classici  abusi fisici e sessuali,  ma unicamente  carenze affettive.

L’emotività di questi bimbi poi adulti risulta labile, con propensione ai passaggi all’atto ed autolesionismo e più generalmente ad una vita senza un assetto stabile. Confrontando l’ippocampo con bambini cresciuti in modo affettivamente ripagante vediamo un suo diverso sviluppo , un maggior equilibrio emotivo ed una migliore plasticità cognitiva. Anche l’amigdala e il suo “dialogo” sperequato con la corteccia cerebrale può imprimere al cervello adulto una spinta generalizzante a rievocare le reazioni di paura o di malessere vissute da bambini. Un fenomeno che chi tratta questi pazienti deve tenere a mente,  modulando gli stimoli verbali ed i concetti in essi racchiusi per evitare fenomeni di sovraccarico nervoso con abbandono del trattamento. Il garbo, la gentilezza, persino il tono della voce del terapeuta devono rassicurare il paziente, persuaderlo che non vi sono rischi ad affidarsi ed a seguire la terapia.  Si tratta di pazienti che facilmente vanno in “accumulo nervoso”, si scompensano e non sono così in grado di ricostruirsi psicologicamente.

Se solo prendessimo atto nel dettaglio del danno individuale e sociale che dei genitori, solo perché procreatori,  possono provocare  trascurando o maltrattando la loro prole, gli impediremmo  già dai primi mesi di esercitare questo potere smisurato e nefasto di modellamento patologico . Se non una patente a punti per  gestire piccoli esseri umani, una più capillare verifica delle situazioni disagevoli  ove un bambino sta subendo un danno con conseguenze perenni,  i cui riflessi si propagheranno sull’intera collettività.

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