Psiche e astensionismo politico
ROBERTO CAFISO
A volte si vive di slogan che si incuneano nel nostro sistema di convinzioni e diventano idee stabili. Zoppicanti e, ad un esame di realtà, insostenibili, ma ciò nonostante capisaldi su cui siamo disposti a spenderci dialetticamente. Il “così fan tutti” è un elemento che rafforza la posizione personale e ci fa sentire nel giusto.
I luoghi comuni determinano così modi di pensare che si consolidano. Essi più che da scelte personali ragionate sono motivati da spinte di massa, non di rado veicolate da interessi di parte e dal bombardamento mediatico. Veri e propri condizionamenti sui quali ragioniamo poco e che ci appaiono come posizioni personali originali, quasi fossero scelte autonome.
Una di queste attualità è sicuramente l’astensionismo politico. Amministratori eletti con meno della metà degli aventi diritti al voto. Una sorta di consegna delle città ad una percentuale di cittadini, magari militanti ed aderenti a quelle logiche che gli assenti alle urne vorrebbero colpire.
Se un sindaco , la sua giunta ed il consiglio comunale vengono eletti da un numero esiguo di votanti, l’amministrazione da un lato sarà comunque salva ma i disertori dei seggi, che non avranno esercitato alcuna opzione, saranno comunque amministrati, pagheranno le tasse locali e subiranno le scelte di una gestione della quale si sono disinteressati a tutto tondo.
Continueranno a lamentarsi ripetendo il ritornello che tanto sono tutti uguali. Un disco rotto che tuttavia ha convinto metà del Paese che questo è il solo modo per dare una lezione ai politici, che invece, ignorandola, continuano ad esercitare i loro mandati liberi dal dissenso e con ancora maggiori poteri.
Ridurre tutti a persone inaffidabili non aiuta l’anelito del “rinnovamento della politica”, che resta uno slogan cavalcato dagli stessi politici, ma evidentemente poco sentito dalla gente che non credendoci avalla esattamente il suo contrario: il mantenimento di personaggi e di metodi consolidati.
Tv e giornali parlano dell’astensione come di un fenomeno metabolizzato e solo qualche commentatore oramai ne sottolinea gli effetti negativi, quasi temesse di essere percepito come un “complice del sistema”. Una realtà capovolta perché i veri complici finiscono per essere coloro che abdicano al diritto – dovere di votare, che altro non è che il rifiuto dell’assunzione di responsabilità che a sua volta alimenta il pessimismo, il quale finisce per incrementare la delega rinunciataria. Un circolo vizioso perverso dove a patire è la democrazia.
Una dinamica scellerata che evidentemente sta bene al sistema perché non solo non è fondamentale per il suo assetto , ma addirittura lo protegge mettendo al sicuro i voti certi e veicolabili, quelli che comunque determineranno un deputato, un consigliere regionale, un sindaco, un consigliere comunale. Basterebbe penalizzare i disertori non giustificati delle urne con un balzello sull’Irpef o sull’Imu per avere percentuali bulgare ai seggi. Ma evidentemente il consenso allargato non interessa granché al di là delle esternazioni. Al voto i demotivati si ci mandano semmai con altri metodi più persuasivi e magari remunerativi.
Se la politica è torbida è anche perché molti cittadini sono obnubilati e complici di basse strategie così evidenti da non poter più essere giustificate dall’ignoranza ingenua ancora reclamata dai presunti “puri di cuore” che di politica non vogliono sporcarsi, perché già imbrattati di ignavia.