Psiche e Aziende inique
ROBERTO CAFISO
I cattivi esempi delle organizzazioni sociali modellano in senso disadattivo la maggior parte della gente, convincendola che per cavarsela bisogna adeguarsi al peggio , leggasi captazione di favoritismi, minimizzazione della meritocrazia e attivazione di furberie rampanti. Al diavolo la morale e pazienza per l’etica di convivenza, se questa è oramai una cornice anacronistica.
La politica ha fornito un numero impressionante di cattivi esempi e tuttavia resta ben salda al potere pur nella consunzione di elettori. Non si meraviglia più nessuno di fatti e misfatti ad opera di un esponente di spicco della vita pubblica o che in qualche modo riguardano l’intervento di un notabile della pubblica amministrazione o un amministratore delegato di un’aziende privata.
Il malaffare è pane per la magistratura di cui non a caso si vorrebbe ridimensionare il potere. Se l’ Organo di controllo previsto dalla Costituzione talora esorbita è anche perché il potere politico non garantisce più la democrazia . E’ una compensazione tesa ad un equilibrio sociale pur precario , nel tentativo di dare credibilità ad uno Stato ed un minimo di certezza del diritto ai suoi cittadini.
Se un tempo le gemmazioni dell’illegittimità pullulavano prevalentemente negli enti pubblici e nei loro vertici che dalla periferia arrivavano sino al governo centrale, passando per le Province e le Regioni, oggi il cattivo esempio è diffuso anche nelle imprese private, quelle che avrebbero tutto l’interesse a premiare i migliori per restare competitivi sul mercato. Non è così da tempo , perché il clientelismo e le raccomandazioni imperversano anche nelle Banche, nelle Assicurazioni, nelle aziende produttive ed in quelle non a caso diventare carrozzoni sul groppone dello Stato per incompetenza gestionale.
Il metodo è quello classico, miope ed irrazionale: premiare gli inetti se segnalati, facendogli gestire risorse umane ed economiche. Mandando al massacro un’agenzia o un ramo d’azienda e lasciando un vulnus che produrrà disastri nell’intera organizzazione . Da qui la demotivazione degli altri dipendenti, che per sopravvivere odieranno il proprio lavoro, non partecipando emotivamente alla dichiarata mission aziendale tipica delle convention celebrate “come una famiglia”, dove però si respira un insopportabile lezzo di ipocrisia e insincerità.
Le condizioni base per un burnout diffuso, sindrome umana che manda le aziende sul lastrico. I raccomandati sono inetti e talvolta arroganti. Se solo inetti suscitano sconforto e pena. Non avere un riferimento nel capo è desolante ed accorgersi di essere dentro un sistema ingiusto e inquinato demotiva a credere a valori sbandierati ma vilipesi. Se gli inetti sono pure arroganti c’è il rischio di una persecuzione del lavoratore che non si confà ai livelli di intrallazzo e mediocrità del capo, sino al suo isolamento. Da qui la disaffezione al lavoro e la diffidenza verso il prossimo. Chi è oggetto di mobbing andrà incontro a malattie e messa in discussione del proprio sistema di credenze, che è un grave stress già di per sé.
Una società che cresce oltre a garantire lavoro deve assicurare una quota certa di correttezza, pena il disamore dei suoi membri. Le disfunzioni di un sistema che spesso facciamo dipendere da impalpabili macrocause sono – a farci caso – la conseguenza del diffuso trend di non fare il proprio dovere o delegando agli altri o concependo il potere detenuto come un arbitrio di stampo tribale. Una riproposizione del diritto di vita e di morte sui sottoposti in un’era dove la gente non è più incline a subire inconsapevole e timorosa. Da qui le organizzazione lavorative debolissime con leader di cartapesta che, come un cancro, infettano l’intero tessuto sociale e minacciano il futuro dei giovani testimoni di tanta iniquità.