Psiche e centri commerciali
ROBERTO CAFISO
Sono cattedrali nel deserto, ma anche grandi laboratori di psicologia delle masse. I centri commerciali slatentizzano una serie di bisogni voluttuari che lì dentro diventano necessità. Migliaia di accessi al giorno. Nelle “città dei balocchi” più grandi i visitatori possono arrivare ad oltre un milione l’anno. Una quantità enorme di cervelli sottoposti ad arte ad una sorta di programmazione. Ovviamente a loro insaputa con l’obiettivo di far cassa.
Innanzitutto la collocazione. Queste enormi aree commerciali in genere sono isolate, sia per ragioni di spazi e di parcheggi, sia per poter alterare lo stato di coscienza per esempio attraverso la mancanza di riferimenti spazio – temporali che ci ricordano, attraverso la luce solare, da quando siamo lì dentro. Scatoloni chiusi, al riparo dal sole. Attrezzati di tutto punto per invitarci a restare per delle ore, prendendo un caffè, andando al cinema, pranzando o assistendo a degli spettacoli. Un invito subliminare a pensare a quel luogo come a tutto ciò che ci serve.
Città immaginifiche attrezzate per ospitarci per tutto il tempo che vogliamo, ovviamente con un bombardamento di stimoli visivi appetitivi ad architettura confusiva, proposte ad acquisti irrazionali , inutili, di cui ci accorgeremo solo a casa ad oggetto spacchettato.
I centri commerciali spingono i frequentatori attraverso un’offerta variegata a comprare e a spendere denaro. E lo fanno inducendo alterazioni cerebrali transitorie a carattere ipnoide. Sono stati registrati con delle telecamere nascoste i movimenti delle ciglia dei visitatori in giro per i reparti mentre osservavano e toccavano la merce. Era diminuito sensibilmente il battito delle ciglia, come se il cervello avesse iniziato una disattivazione dei meccanismi attentivi, quasi una trance iniziale, che è funzionale al non processare adeguatamente la realtà , ad esempio la motivazione all’acquisto in rapporto all’effettiva necessità ed al denaro disponibile. Gli acquirenti ridiventavano desti allo squillo della cassa mentre pagavano, mostrando un ripristino del movimento delle ciglia tipico dello stato di veglia.
Lo shopping com’è noto può assumere caratteristiche psicopatologiche assimilabili al gioco d’azzardo compulsivo. In entrambe le situazioni si agisce per soddisfare un bisogno ( comprare o puntare ) che produce piacere attivando aree cerebrali specifiche, le stesse dei percorsi chimici delle droghe. Più a rischio di acquisti ovviamente le persone sole, depresse, con bisogno di compensazione relazionale ed affettiva.
I Centri commerciali si offrono come risolutori di tensioni psicologiche e promettono di equilibrare tramite un auto regalo un conflitto o una tensione . Ma già uscendo all’aperto si prenderà coscienza di aver speso inutilmente denaro ed i sensi di colpa conseguenti non aiuteranno l’assetto psicologico dell’acquirente. Non è certo un caso che si entri per cercare un solo prodotto e si esca col carrello colmo.
Le carte di credito o i bancomat se da un lato facilitano gli acquisti, dall’altro, e proprio per questo, non danno contezza del denaro corrispondente alla strisciata della carta. Negli acquirenti dei centri commerciali proprio l’operazione col pos che autorizza l’acquisto ( rinforzo ) dà la sensazione di euforia tipica della puntata di chi è affetto da ludopatia. Per questo gli spendaccioni dovrebbero entrare in questi luoghi muniti di denaro contante prestabilito o accompagnati da un congiunto sobrio che “svegli” il consumatore smodato al momento giusto. Altre regole utili consultare l’orologio frequentemente dandosi un tempo massimo di permanenza, per poi tornare “coscienti” in fretta . Meno si va in trance automatica meglio si vivrà, cercando magari altrove le soluzioni alle proprie difficoltà.