Psiche e colleghi

ROBERTO CAFISO

 

Tra i danni collaterali dell’affossamento della meritocrazia c’è anche il fenomeno della “simmetria populista”, una sorta di livellamento paritetico delle qualità personali ordito non solo attraverso la forzatura del  concetto  dell’equipollenza del pensiero, ma anche  delle capacità e  della professionalità ,  solo perché, ad esempio, si è in possesso di un analogo titolo di studio .

 

Così il neolaureato in medicina diventa “collega” del professore che lo ha varato il giorno prima sulla base della pergamena conseguita . Ed è collega pure il pubblicista del giornaletto locale alla stregua  del consumato  inviato  di una testata  di prestigio. E tale può avvertirsi   il prof  neoassunto a scuola nei confronti del docente con trent’anni di mestiere sulle spalle.  Insomma colleghi e basta.

 

Che l’essere compagno o omologo di lavoro sia in tutti questi casi un dato di fatto  non può trascurare che, nel merito , esistono differenze  di esperienza e capacità personali,  che prescindono dall’analoga  attività svolta. Nell’era dell’economia imperatrice  l’esigenza del  cambio generazionale nel lavoro coi prepensionamenti e l’assunzione dei giovani,  ha  sdoganato l’idea molto   ingenua   dell’equipollenza degli uni nei confronti degli altri.

 

Se il posto di lavoro è uno ed uno solo, è difficile immaginare l’interscambiabilità in sala operatoria di un chirurgo navigato  con un altro  più giovane e con un numero ridotto di  interventi eseguiti . O rendere paritetiche  le capacità operative  di un  magistrato esperto  con un altro da poco in ruolo .  Parimenti ,  in pochi sceglierebbero di  volare con un comandante appena promosso  rispetto al pari grado  più anziano e con molte ore di volo sulle spalle.

 

L’esperienza è la capacità di far fronte a molte situazioni anche impreviste e problematiche per l’esservi imbattuti negli anni di attività. E’ la perizia nel saper prendere decisioni valutando gli eventi sotto molte angolazioni e fiutando i rischi. Essa  è frutto del tempo trascorso in quell’attività, degli errori commessi, delle strategie apprese per evitarli.  Le esercitazioni  teoriche raramente potranno sostituire  la pratica . Di contro è innegabile che se un giovane non si esercita nel proprio campo professionale,  anche attraverso un tutoraggio,  non potrà mai acquisire la competenza di cui qui si parla.

 

Il tema è un sentirsi arrivati ancor prima di cominciare, vedendo nel collega anziano qualcuno che toglie spazio  e percepirsi suo collega senza avvertire  l’esigenza  di un rispetto  garbato, col desiderio di guardare, chiedere, imparare, per rubare il mestiere a chi lo conosce già. Molti giovani si considerano equivalenti ( se non  più in gamba )  a chi ha lavorato  per anni in quel settore ed avvertono la saggezza come un orpello persino tedioso, un optional da cui c’è poco da apprendere perché ciascuno  fa la propria strada da sé.

 

La presunzione da sola è un gran limite professionale,  se poi  ha come partner l’arroganza, i risultati potranno essere  disastrosi a danno della collettività, specie se quel mestiere ha implicazioni sociali. Nella legittima corsa al posto di lavoro non bisognerebbe mai abrogare l’umiltà e la voglia di apprendere che rendono grande ed affidabile ogni professionista. Essere colleghi non vuol dire essere  interscambiabili sic et simpliciter   con chi da anni svolge quelle mansioni. Pensarlo  è uno dei più grandi ostacoli  all’irrinunciabile  progresso  che ogni generazione  dovrebbe   garantire alla comunità .

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