Psiche e Crocetta
Roberto Cafiso
Sembra che l’anatema di Sciascia, quello della Sicilia irredimibile, continui ad incombere sull’isola baciata dal sole ma sulla quale grava una nube indissolvibile . Ed è così che un presidente della regione dopo l’altro sono attraversati dal sospetto del fatale abbraccio della mafia o da qualcosa di comunque molto attiguo. A latere, uno, dieci, cento, sono venuti fuori gli scandali su diversi deputati dell’Ars delle ultime legislature. Inchieste su un uso improprio e smodato di denaro pubblico, sperperi e forzature ai regolamenti assembleari, già di loro “generosi” . Una gara a chi fa peggio, quasi per avvalorare il giudizio pessimo che si ha dei governi siciliani ( che fa il paio con quello che all’estero hanno di quelli nazionali ) e confortare chi ha predetto per la Sicilia l’immodificabilità.
Il guaio è che quando i giudizi si accatastano in una filiera compaiono i pregiudizi. E di pregiudizi sulla politica è satura persino l’aria che respiriamo. La gente non si strappa i capelli e la rassegnazione e l’ineluttabilità d’altronde cosa sono se non un salvacondotto per i maneggioni e disonesti ( eletti comunque dai siciliani ) pronti ad azzannare ogni boccone attraversi l’area delle loro fauci ? Storie vecchie, di certo non da cucire addosso solo a queste ultime classi politiche. Ma è da un ventennio che la razzia è diventata più sfacciata e ha preso il posto delle spartizioni più caute e moderate. Quasi sfuggisse il tempo o si ritenesse di godere di un’impunità decretata per volere di Dio. Come i pessimi re e i dittatori. Entrambe categorie sempre finite male.
E la cronaca continua a far sanguinare le ferite mai asciutte degli isolani, sempre alla prese col patos della sicilianità , ove mafia e malaffare sembrano un tutt’uno col tessuto sociale; dai contatti mafiosi considerati inevitabili per chi vive qui, sino alle logiche del sospetto generalizzato, ove tuttavia se tutti sono un po’ mafiosi, forse nessuno lo è davvero . Ora è la volta di Crocetta, un governatore apprezzato all’estero, che tenta di ribaltare i destini dell’isola, ma che politicamente non ha vita facile. Perché la politica è molto di più delle sue componenti istituzionali e i partiti , se esistono, sono sulle gambe di uomini che si sentono di appartenere più al loro protagonismo che al partito e un governatore sul cavallo della lotta alla mafia e alle ruberie , sembra non bastare ai siciliani, impoveriti dal doversela vedere sempre e solo con questa parola ridondante ed ingombrante.
Potrà quest’isola riscattarsi dallo stesso pregiudizio della sua gente che da un lato scuote la testa e dall’altro è pronta a saltare sul carro del vincitore – non importa chi – per poi scaracollarsi giù quando il vincitore comincia a puzzare di vinto? Sarà banale, ma come pensiamo possibile far lavorare le persone perbene e non accreditate trasversalmente se non attraverso delle prese di posizione della gente comune, quella che reclama i diritti ma che deve spendersi anche per i doveri ? Che in Sicilia ( e non solo ) il rinnovamento dei poteri politici debba farlo la magistratura è una iattura sia per la politica che per i cittadini, estromessi alla fine dalla loro prerogativa di voto che probabilmente potrebbero usare meglio. E mentre c’è chi lavora ogni giorno con serietà ed impegno, senza far caso a vivere in una terra impervia e ingenerosa , c’è anche chi complotta per ordire trappole ed esortare i governi di turno a fare “i bravi”, in un minaccioso monito di ribaltoni che facciano ripartire sempre tutto da zero. Uno zero dal quale i siciliani non hanno mai avuto, né avranno mai vantaggi.