Psiche e donne che non volano
ROBERTO CAFISO da LA SICILIA del 30.11.15
La Speleologia dei sentimenti e le donne che non volano più.
Esistono donne che non vorrebbero volare ? Stanno bene quelle donne che invece abitano interiorità scolorite, dove tutto è scontato ? Donne zavorrate a terra, che corrono come formichine e sembrano appagate da una vita fatta di lavoro e figli, doveri e ricorrenze, appuntamenti col ginecologo e col parrucchiere e che fanno pure la spesa ogni giorno. Donne che guidano da un capo all’altro della città, firmano perché dirigono, coordinano, decidono e sono sempre impeccabili. Donne spesso sole. O perché rimaste sole o perché malgrado in coppia sole lo stesso.
Sembra che non abbiano più bisogno di nessuno, visto che si sono affrancate dallo stereotipo della dipendenza dai genitori o dal partner e viaggiano a vele spiegate. Eppure ciò che appare non è sempre ciò che è. Ferite da rapporti disattesi da bambine ed un’autonomia troppo precoce per non essere sospetta. Una fragilità negata e tanti sogni riposti nel cassetto come le bambole mollate via troppo in fretta. E poi il matrimonio. Il primo, talvolta il secondo. Con uomini importanti magari e perciò pieni di sé, a loro volta privi di un’ appagante dimensione emozionale la cui necessità non ammetterebbero mai. Limbi esistenziali dorati ma pur sempre afoni, dove c’è solo analgesia ed serenità mimata.
Donne che non volano,ma che sognano continuamente di volare. In silenzio, di notte, ad occhi chiusi. Mentre fingono di dormire perché non hanno voglia di farsi toccare. E piangono immaginando un’altra vita , perché hanno avuto paura che lo fosse e che adesso non saprebbero più come vivere. Donne tradite che sbagliano, che sbandano. Perché in fondo fragili, addestrate a credere solo in ciò che vedono e toccano. Che hanno perso di vista l’isola che non c’è, che pure adoravano in uno scorcio di fanciullezza rubata chissà quando. Donne piene di rimpianti, che vorrebbero cambiare tutto o quasi. Ma che non sanno da dove ripartire e perciò via, a sbattersi e correre. Come formichine instancabili. Nel non fermarsi mai, nell’avere – come dicono – una vita molto intensa, c’è il tentativo di non ascoltare bisogni che griderebbero ancora ai quattro venti ma che è meglio far tacere.
Le chiamano “in carriera” ma non sanno più cos’è l’amore o ci hanno rinunciato senza neppure sceglierlo, travolte dalla china di ciò che va fatto, dalla rivalsa o dall’ambizione instillata dal vuoto dentro. Lo hanno sfiorato, da ragazze, col solito tizio sbagliato, per poi mettere la “testa a posto” ed il cuore in frigo. Solo grilli per la testa , niente farfalle nello stomaco, il loro credo. Ma non volano, al massimo fanno un po’ di parapendio o qualcuna più intrepida qualche lancio col paracadute. E lì si ritrovano per qualche minuto in una dimensione magica, tra cielo e mare ed una calma appagante, che le avvolge e finalmente le carezza per come vorrebbero essere accarezzate.
Ma la speleologia dei sentimenti è uno sport che non si pratica da soli. E nella cordata ci vuole qualcuno con la stessa passione. Non ci sono ricette per la felicità ma chi macina chilometri deve fermarsi, rifiatare e bere acqua. Queste maratonete con la meta del successo hanno smarrito il senso della fatica, eppure arrancano, col sorriso sulle labbra ma tristi nell’animo di cui non sanno prendersi cura per il timore di soffrire nuovamente. Una stanza perciò che tengono chiusa a chiave e che nascondono a loro stesse, ma che avrebbero - a sentirsi per davvero - un desiderio smisurato di spalancare al sole. Non si può crescere mai bene se non si riparte da bambini e non si aggiustano i propri veri scopi esistenziali. Ci vuole coraggio forse. Di certo rispetto per sé.