Psiche e GAP

ROBERTO CAFISO

 

Attenuandone l’impatto lessicale  il disturbo patologico da gioco d’azzardo  viene definito oggi ludopatia, che addolcisce   questa sindrome molto rovinosa del controllo degli impulsi  equiparabile  ad una dipendenza patologica da droghe o alcol. Si tratta  di una malattia la cui portata ha una dimensione personale, familiare ed una sociale, considerati gli alti costi che si abbattono sulla collettività ( cure, debiti, assenze lavorative, innesco di economie sommerse controllate dalle organizzazioni criminali ). Insomma una disgrazia maniforme.

 

Anche in Italia i disturbi da gioco d’azzardo patologico hanno assunto i crismi di una malattia sociale sempre più estesa, che oggi prevede  livelli essenziali di assistenza e perciò trattabili gratuitamente presso le Asl italiane e nei SERT in particolare ( Si calcolano più di un milione e mezzo di giocatori compulsivi ). Il gioco diventa morboso quando viene alterato il normale funzionamento delle condizioni psicofisiche dell’organismo e l’individuo modifica le proprie priorità di salute, relazionali e lavorative.

 

Il giocatore patologico innanzitutto non gioca per vincere, al di là dei paraventi sulla crisi economica che spinge tanta gente a tentare la fortuna. Semmai questo è un meccanismo d’innesto iniziale che in breve lascerà spazio al crarving  vero e proprio. E’ dimostrato che la maggiore gratificazione del giocatore patologico sta nell’anticipazione dell’attività di puntata con un basso controllo da parte della corteccia prefrontale. Mentre nei giocatori occasionali il picco gratificante si ottiene nel periodo immediatamente successivo alla vincita, con uno stop del gioco dopo una perdita. Qui il livello di controllo corticale risulta normale.

 

Se durante l’attesa della vincita un soggetto trae il massimo della gratificazione dalle aree cerebrali deputate e viceversa dopo l’eventuale vincita si abbassa il suo livello di attivazione del piacere, è comprensibile che il giocatore  patologico dovrà reiterare le scommesse per ottenere il livello di eccitazione  sperimentato durante le puntate, indipendentemente dal loro esito ( vincite o perdite ).

 

Sono crescenti i livelli di coinvolgimento al gioco delineatisi. Il gioco d’azzardo informale , che tende alla problematicità e che comporta un aumento degli accessi al gioco e delle spese connesse, la comparsa di pensieri compulsivi al gioco, distorsioni della logica in riferimento a fantasie indimostrabili di supervincite, ricerca di luoghi dedicati al gioco, polarizzazione degli interessi. L’area della problematicità, è una spia che partner e congiunti devono tenere presente per indurre, quando è ancora possibile, il giocatore a farsi curare. Quando da quest’area si transita in quella della patologia l’impresa diventa molto più ardua.

 

Il giocatore inizia ad essere avvezzo a menzogne, il suo conto corrente precipita in rosso, si modificano le abitudini alimentari ( orari, qualità e quantità dei pasti ), iniziano i furti domestici, i cambiamenti di umore, quelli di amicizie e dei luoghi di frequentazione, cresce l’aggressività ( specie se lo si vuol limitare nel gioco ), i debiti ed i rapporti affettivi tradizionali si svuotano di significato ed interesse. Come un drogato il giocatore patologico appare un’  “altra persona” rispetto a quella abitualmente conosciuta. Qui il livello di allarme è elevato anche perché può iniziare un tracollo economico – sociale molto grave con minacce all’autoconservazione.

 

I giocatori d’azzardo spesso giocano per compensare l’ansia, le disforie o lo stress che non tollerano neppure a bassi livelli. Il trattamento prevede una rimodulazione cognitiva rispetto ad aspettative e capacità di soluzioni dei problemi che la vita propone. Le terapie sono integrate e necessitano anche di un iniziale gestione   da parte di un tutor  delegato al controllo delle spese del paziente. Dalla patologia si guarisce, ma più tardivo è l’intervento più lungo e rovinoso sarà quest’iter.

 

Infine un cenno ai lotti, alle lotterie, alle estrazioni continue consentite dallo Stato che da un lato incassa, dall’altro  spende per curare. Al di là del rapporto costi/benefici di certo non è un gran bel vedere.

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