Psiche e il salto mente corpo
ROBERTO CAFISO
C’è un ‘osmosi inscindibile tra mente e corpo per la quale, oltre ogni antica dicotomia concettuale, la prima sovente utilizza il secondo per manifestarsi e lanciare allarmi. Lo stomaco è il nostro cervello viscerale. Esso è sede di innumerevoli connessioni e terminazioni nervose che lo fanno somigliare ad una centralina elettronica di rilevazione di input. La processazione di essi, quando ciò è possibile ed è alla portata dell’individuo, avverrà poi nel cervello più evoluto, nella corteccia. Tuttavia noi sentiamo molte cose, come si suol dire, “di pancia”.
Proprio lo stomaco è il luogo di svariate metafore: avere le farfalle nello stomaco è la rappresentazione di emozioni tipiche dell’innamoramento. Ricevere un pugno nello stomaco è sinonimo di una notizia dura ed inattesa. O avere lo stomaco sottosopra sta ad indicare uno stato d’animo di scombussolamento o confusione. Così come “mi viene da vomitare” indica il rifiuto di un fatto. Alcune patologie del digerente hanno un’eziologia o uno scatenamento ad impronta psicosomatica: si pensi a moltissime gastriti e coliti, condizioni spesso espressione di risposte anomale a stress cronici , non gestiti altrimenti. La digestione risente sempre della reazione dei sensori nervosi collocati tra cervello antico ed apparato gastrointestinale.
Ma questo vale anche per l’apparato cardiovascolare, endocrino, per quello muscolo – scheletrico e per la stesso strato dermatologico, di contatto tra noi e il mondo, con i calchi in forma somatica di conflitti e bisogni di elevato significato simbolico. L’interconnessione stretta dell’unicum “psiche- soma” ha reso più chiare, al di là dei meccanismi di traslazione ad oggi studiati, le esigenze psicologiche umane, la loro irrinunciabilità e l’utilizzo del corpo per stati d’animo diversamente non accessibili alla coscienza, con tutti i rischi connessi: dalla cronicizzazione della modalità di coinvolgimento dell’organo – bersaglio, che lo indebolisce e lo rende mal funzionante, alla incapacità di cogliere i nodi del disagio, così da poterli affrontare consapevolmente.
Che molti non riescano a mostrare emozioni in modo eloquente, ma hanno mal di pancia quando ne sono pressati, oppure che vomitano anziché esprimere rifiuto, paura, incapacità di contenere, è un dato assodato da qualsiasi medico di base . Dall’osmosi tra noi e il cibo possono insorgere patologie dell’alimentazione che trascurate possono diventare drammatiche prognosticamente . Si tratta di avere accesso a se stessi, darsi del tu e capire e dare un nome all’emozione o al sentimento avvertito, senza giudicarlo, né inibirlo alla coscienza reprimendolo. E’ la differenza tra le persone che hanno imparato a conoscersi e riescono a vivere adeguatamente e quelli privi di ogni capacità introspettiva che rispondono sempre “non lo so” quando si chiede loro cosa hanno dentro, che cosa provano o come si sentono.
C’è chi traduce in ansia tutte le emozioni che vengono in tal modo ripudiate. Oppure in rabbia per ogni spinta interiore protesa all’azione. Vivere la complessità del proprio mondo interiore attraverso una delega totale al corpo è un tentativo maldestro di sfuggire anche alle proprie prerogative di scelta e responsabilità. Non è vero che chi vive inconsapevole vive meglio. E’ vero invece che chi vive così si ammala di più e spesso senza sapere il perché. Le strategie educative dovrebbero puntare sulla conoscenza non soltanto del proprio corpo, ma sulla sua vocazione espressiva , vicariante quella parlata, ma soprattutto sui processi dove input emozionali naturali cercano di trovare collocazione suggerendo stili di vita adattivi. La capacità di pensare e di governare queste esigenze rende gli esseri umani sani e di base liberi di optare ed agire di conseguenza.