Psiche e le nevrosi di destino
ROBERTO CAFISO
Il peso della responsabilità si porta appresso per un’intera vita una sorta di nevrosi del destino. Una condanna mai pronunciata esplicitamente a carico di alcuni che si assumono in famiglia o nei gruppi sociali gli oneri emotivi e le decisioni più salienti, prestandosi per questo anche alle critiche più ingenerose e taglienti.
Senza scampo: la vita di certuni pare destinata a doversi caricare sulle spalle i pesi che qualcun altro molla, salvo poi a stigmatizzare sul modo di portarli. Per questo ci si convince che un mandato della sorte ha investito alcuni piuttosto che altri e perciò ci si rassegna e si affrontano le ansie, le sofferenze tipiche di chi deve sbracciarsi e provvedere nei giorni in cui sono tutti annichiliti. Perché i predestinati sono persuasi per consuetudine che da loro ci si aspetta un intervento risolutivo.
La malattia di un congiunto, la comunicazione di un evento grave, l’adoperarsi per un figlio disagiato, l’affrontare una bufera familiare senza apparenti sbocchi, le sofferenza altrui, quelle di estranei persino. Centinai di situazioni in cui il predestinato, pur stremato ed impaurito, deve impugnare la spada, combattere e dare sicurezza agli altri, rassicurandoli che si sta provvedendo. Quasi l’ascetico mandato degli instancabili angeli custodi.
Un ruolo ingrato, altamente stressante, dove nel susseguirsi dei fatti la maggior parte si abitua allo sforzo del predestinato il cui ruolo diventa doveroso e dovuto. Oneri senza onori. Perché cento buoni interventi spesso non pesano quanto un insuccesso. Questo l’abnegato lo sa bene e si sfinisce per mettere in cascina molte cose ben fatte, pur non potendo prima o poi evitare i giudizi ingenerosi per un momento di defaillance e per una missione non andata a buon fine.
Gli altri, gli indolenti, sanno invece criticare, aggredire, giudicare chi al loro posto e per loro conto tenta qualcosa. Sono prodighi di consigli, fanno i suggeritori, si muovono da registi occulti pur non avendo alcun attributo per essere attendibili. Aspettano al varco il predestinato con la matita rossa e blu in mano per dare i voti al suo comportamento. D’altronde non c’è nulla di più facile che giudicare l’operato altrui senza mai operare.
Ma non ci sono sortilegi o destini già scritti, solo convinzioni. E gli instancabili predestinati se solo lo decidessero potrebbero passare la mano di tanto in tanto, restituire il mandato a chi gliel’ha assegnato, dire : non ce la faccio o più semplicemente : no, non io,non stavolta. Imparerebbero a convivere con lo stupore degli astanti abituati ad aspettarsi sempre e comunque il loro impegno e comprenderebbero come si può sopravvivere lo stesso anche con le critiche che gli altri caricano loro addosso.
Nessuno può colpevolizzarci se non siamo noi a provare sensi di colpa. E questi devono essere il rapporto tra le nostre effettive capacità e la volontà di non operare. Non ci si può sentire in difetto solo perché qualcuno attenta artatamente alla nostra coscienza e non ci si dovrebbe considerare insostituibili solo perché qualche altro ha deciso che dobbiamo esserlo, giusto per scrollarsi di dosso le proprie responsabilità.
Viviamo male talvolta perché continuiamo a ritenere che il nostro modo di vedere le cose sia il solo stile di vita concessoci, stretti nella morsa del “non ce la faccio” a cambiare. Si tratta solo di un falso ideologico. Possiamo cambiare pensieri e comportamenti se solo ci persuadiamo che i doveri vanno dosati e che gli altri possono su di noi solo ciò che noi gli consentiamo. Il destino , più spesso di quanto non ci accorgiamo, è un susseguirsi di agiti sempre uguali e non incentrati né al benessere personale, né ad un spontaneo libero arbitrio.