Psiche e medicina narrativa
PSICHE & SOCIETA’ DI ROBERTO CAFISO
UMANIZZAZIONE DELLE CURE :LA MEDICINA NARRATIVA
Per certi versi è un nuovo trend , ma spesso cose già note, che non hanno sfondato con una definizione ( approccio olistico del paziente, umanizzazione delle cure …. ), si ripropongono con nuove terminologie, magari mutuate dall’inglese ( Narrative Medicine ) per arrivare allo stesso risultato : stabilire una relazione vera tra medico e paziente per curarlo. Perché le parole ben dosate curano, come un farmaco.
La Medicina Narrativa è un metodo di intervento che oltre agli aspetti clinici e di assistenza del malato, comprende competenze comunicative e relazionali. Si tratta di mettere al centro del processo terapeutico due entità umane, chi cura e chi è curato, comprendendo quanti più punti di vista possibili, per tracciare una “storia di cura”, vale a dire un iter terapeutico personalizzato.
Come confezionare un abito in sartoria evitando i grandi magazzini. Più oneri, ma un taglio su misura, con un’ efficace prospettiva per il malato, che si avverte centrale e non un generico caso coincidente col nome della sua patologia. Non a caso la Medicina Narrativa si integra con quella basata sull’evidenza, proprio per scandire un approccio clinico che funziona e dà risultati migliori di quello asimmetrico medico – paziente, sbilanciato in una logica di potere a favore del primo.
La narrazione del paziente e di chi se ne prende cura diventa un elemento imprescindibile che crea una relazione, esporta empatia e legami emotivi, due potenti requisiti utili alla guarigione. Le persone coinvolte, attraverso le loro storie, diventano protagoniste del percorso terapeutico e ciò è utile per attivare risorse di reazione alla noxa, perché come ormai è dimostrato siamo molto di più del dualismo cartesiano psiche e soma.
La narrazione del terapeuta o tra curanti si basa sull’autenticità della comunicazione, sull’analisi di aspetti personali per definizione non pertinenti o addirittura non utili al paziente ( ad esempio i dubbi del medico ), su un umanità non pietistica ma supportante e paritetica ( due esseri umani alleati contro una patologia , con i loro punti di forza e le loro debolezze ). Un concetto sconvolgente per l’approccio tradizionale ove chi cura era sopra uno scanno di sapienza e talvolta di indifferenza.
Il medico ovviamente non può utilizzare questo approccio per farne il luogo delle sue esternazioni esistenziali. Tutto è collegato al disagio del paziente ed i limiti della narrazione di chi cura sono dettati da quel vissuto. Per umanizzare occorre saper comunicare, distinguere i pensieri dalle emozioni, per dare voce ai primi con una tonalità e alle seconde con una coloritura ed intensità graduata. A cosa serve tutto questo , molti si chiederanno. Gli stessi dubbi delle cure palliative, degli hospice, dell’accompagnare un essere umano al suo traguardo finale. Perché non è vero che i percorsi di sofferenza sono tutti eguali e non è vero che una morte vale un’altra. La dignità di un essere umano è un bene incommensurabile, una fotografia indelebile per i congiunti nell’ultimo scorcio di vita del loro caro.
Umanizzare le cure instaurando una relazione col paziente , facendosi raccontare e raccontando, crea una compliance efficace che fa bene allo stesso terapeuta. Il rischio di burnout degli operatori sanitari sta proprio nel routinizzare il proprio lavoro, considerando alla lunga il paziente una scocciatura, un onere e basta. La Medicina narrativa in fondo si rifà al rapporto interpersonale che il vecchio medico condotto esercitava col paziente visitato a casa, dove prima e dopo la visita si tratteneva con lui ed i suoi familiari e magari accettava un caffè o un rosolio. Vecchie procedure perdutesi nell’era del tecnicismo esasperato e dei tempi ristretti. Vecchie esigenze coniate nuovamente, ma in fondo l’analoga esigenza di aiutare al meglio chi soffre, inquadrandolo a trecentosessanta gradi.