Psiche e mutamenti sociali

PSICHE & SOCIETA’ di Roberto CAFISO DA LA SICILIA DELL’ 1.4.16

AMARE NELL’EPOCA DELLA  CONFUSIONE SOCIALE

Le vicende politiche hanno sempre risvolti sociali che creano opinione e talvolta in modo imperioso. E capita che per difendere un principio o un diritto di minoranze o di singoli, vengano lanciati strali contro ciò che è “strutturale”  nel nostro patrimonio culturale  e negli archetipi  genetici. Sono i tempi della  messa in discussione delle figure genitoriali tradizionali e del  relativismo delle mansioni materne nella crescita di un figlio. Stimoli o provocazioni, poco importa. In fondo i cambiamenti non sono mai  indolori. Sennò non avverrebbero. Tuttavia conosciamo delle cose, diventate acquisizioni  scientifiche, sull’accudimento dei figli.

Sappiamo dell’importanza del ruolo materno dal parto in poi, sino almeno all’esordio scolare. Sappiamo che la diade o “folla a due” tra madre e figlio, frutto di un   imprinting  già a livello fetale , non può essere surrogato da molto altro. Sappiamo che la carenza di cure, il gap di affettività e di emozioni calde non soltanto sono in grado di  modificare  il cervello , riducendo il volume di  alcune sue parti che segneranno  il destino di un figlio trascurato, ma possono altresì determinare disturbi strutturali della personalità che sono stimmate  per la  vita.

Su questo si può tacere o glissare, ma non possiamo non prendere atto che alcune funzioni  di supporto sono prerogative di adulti significativi per un bambino e non hanno sin qui valide alternative.  Le esperienze dei Kibbutz   e l’istituzionalizzazione  di un bambino hanno dimostrato la non surrogabilità di certi legami di base madre – figlio.  Non possiamo tuttavia sottacere che questi stessi  legami naturali a volte sono  patologici e fonte di infanticidi fisici e psicologici. L’indistinguibilità di funzioni può essere un progetto, ma non è un dato  scontato. Per arrivarci occorre “estrarre”  dal patrimonio  genetico intersessuale elementi di complementarietà e di mutualità oggi magari considerati impraticabili. Ma la capacità di adattamento  ci ha dimostrato che gli esseri umani   sono capaci di imprese insperate e che lo stesso cervello, ad oggi con peculiarità specifiche  tra sessi, è in grado  grazie alla neuroplasticità di cui è dotato, di apportare sostanziale correttivi al funzionamento ad oggi conosciuto, attraverso nuovi apprendimenti.

In realtà una collettività dovrebbe avere tra i propri obiettivi naturali il benessere dei singoli ( che  è un diritto inalienabile )   e la conservazione della specie attraverso la riproduttività e le cure  della prole. Solo così,  in questo equilibrio,  l’umanità ha un futuro degno di rispetto. Stressare la prima prerogativa può compromettere il mandato di tutela  dell’infanzia. Pressare la seconda può tralasciare  il benessere – diritto di ciascuno, elemento cardine per costruire una collettività disposta a sacrificarsi perché realizzata.  Si tratta di un bilanciamento minacciato da molti fattori culturali, da mandati morali e religiosi antichi, sino a quelli del “tutto e subito” di un’umanità edonisticamente  impaziente.

E’ irrilevante chiedersi se una puerpera possa  coprire ruoli istituzionali. Una giovane madre  può fare i turni da medico, infermiera, operaia o poliziotta ?  Questo oramai è scontato. Il punto è un altro. Capire come crescono i figli all’interno di quelle famiglie . Che riserve di capacità a “prendersi cura” ha il padre quando presente  o i nonni o  gli altri congiunti . E quanto altri soggetti, dalla baby sitter alla scuola dell’infanzia, possono concorrere ad assicurare al bambino il contatto anche fisico   che consente  stabilità, il non aver paura e il  sentirsi rassicurato, abbracciato, protetto. Tutto ciò di cui la prole ha bisogno per non soffrire ed ammalarsi.  In natura regole immutabili non ce ne sono, ma qualsiasi mutamento richiede tempo e sforzi. E nell’armonizzarsi della disponibilità dei membri di un nucleo familiare , ristretto o allargato,  che si possono intravedere spiragli di un nuovo modo di amare.  Il tema in fondo  si riduce a questo: sapere amare bene, nell’interesse dell’altro. Una categoria non incasellabile dentro alcun file di cultura, tradizione o pregiudizio.

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