Psiche e nostalgia

PSICHE & SOCIETA’

ROBERTO CAFISO

 

Vi sono cantautori, scrittori e poeti  che da sempre  esaltano  la nostalgia. Essa è travestita talvolta da  indignazione per i tempi duri che viviamo, per l’assenza di riferimenti etici e per la prolificazione dello scempio come metodo  e dei profittatori senza scrupoli. Ma in vero a leggere meglio questi versi e  ad  ascoltare certe canzoni trapela un evidente rimpianto per il tempo che fu.

 

D’altronde tutti gli adulti sono portati a ripensare con una punta di tristezza  il passato. Esso a volte è rivisitato nella mente, altre volte rievocato attraverso foto, filmati, scritti. C’è un passato assoluto, che è quello di epoche dove non eravamo presenti,  ed uno personale con ricordi vivi che ci comprendono.

 

E sembra, ogni volta, di riascoltare un ritornello sotteso in questi tuffi all’indietro impregnati di  sensazioni ed emozioni. Quelle di un malinconico ricordo di tempi che ci appaiono migliori degli attuali, di una rassegnata consapevolezza di cose non più fattibili e di rapporti perduti. I miti d’altronde vivono quasi sempre nel passato.

 

Tutto ciò che “è stato”  viene rappresentato migliore  di ciò “che è”, come se rivedessimo un film edulcorato  mentre ci sembra di masticare l’amaro del presente. Una contrapposizione impari. Le stesse facce dei ricordi ci appaiono luminose ed i contesti ariosi e colorati. Ed anche le disgrazie capitateci , proprio perché superate,   sembrano meno brutte.

 

Il tempo è un grande medico, si dice. Aggiusta molte cose, per il suo stesso scorrere. E ciò che ci  fece  piangere o disperare  anni dopo ha una coloratura  più sfumata. Si modificano le tracce mnestiche degli stati d’animo e si sfuma l’impronta  del vissuto penoso che pur ci pareva insuperabile.

 

Il passato è forgiato da fantasticherie, a volte è vaneggiato perché sappiamo processare solo il presente che ogni volta ci sembra il peggio di ciò che ci può capitare. Il passato ha tinte elegiache, il futuro sa di promessa o al peggio di minaccia, ma è pur sempre sorpresa, attesa,  incognita. Viviamo insomma in una sola dimensione  e dietro ed avanti a noi nulla è obiettivo.

 

L’accaduto per duro che sia stato sembra accarezzarci. Spesso su di esso più che il peso degli eventi predomina la nostra fanciullezza, l’età della speranza e della spensieratezza o quantomeno di quello che ricordiamo così. Vi sono conflitti adolescenziali dilanianti, scelte difficili, problemi alti come le mura di un carcere, patemi senza soluzioni. Quelle  sensazioni nel ricordo  ci sembrano meno drammatiche, quasi ne avessimo esagerato  la portata quando ne  imprecavamo.

 

Il tempo che passa spesso ci fa paura ed il dolersi pare avere cittadinanza nell’oggi. I dispiaceri  di ieri  ci appaiono invece meno   gravosi di come giuravamo che fossero. Se è vero che tutto scorre è evidente che non sono i fatti ad essere spazzati via, ma le emozioni ad essi connessi in un meccanismo rievocativo difensivo che ci descrive gli accadimenti senza più  concitazione. Gli stessi traumi hanno valenza in quanto non risolti oggi, ma il loro esordio è annebbiato da altre reminiscenze contestuali tipiche di un’epoca in cui ci ricordiamo comunque felici.

 

Esaltiamo il passato per negare il presente e scongiurare il trascorrere del tempo che fa paura. Tutto era bello anche se non lo era affatto. E tutto è insopportabile oggi anche se tra qualche anno smentiremo quest’ affermazione. Non siamo giudici imparziali, siamo esseri umani  fragili che manipolano il tempo nel tentativo di adattarvisi,  riducendo quanto più possibile la paura di dover  terminare, come da copione, il  percorso esistenziale. Lo sappiamo provando ad   ignorarlo.

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