Psiche e ragazzi appiattiti
PSICHE & SOCIETA’ da LA SICILIA del 3.7.15
ROBERTO CAFISO
GIOVANI APPIATTITI NELL’ERA DELL’ANALFABETISMO EMOZIONALE
Sono ragazzi che hanno smarrito l’entusiasmo e che vivono senza grosse emozioni, se non quelle indotte chimicamente. Respirano, fanno le cose, in una parola vivono. Ma quasi per inerzia, con un sorriso appena accennato sulla bocca se proprio c’è da festeggiare qualcosa. Non li prende nulla. L’hanno smarrito la passione, oppure non l’hanno mai conosciuta e vivono una sindrome d’appiattimento precoce che non è una vera depressione, ma che li rende proni psicologicamente lo stesso.
Sull’andazzo delle società occidentali e sul mal di vivere giovanile vi sono molte teorie. La carente progettualità per assenza di ideali ed il futuro percepito come minaccioso. Il barcollamento di “valori - cardine” tradizionali e la loro surroga edonistica e centrata sul “qui ed ora”. L’economia specchio dell’autostima e l’incapacità di coniugare il titolo di studio con un lavoro degno degli sforzi compiuti. La sfiducia verso istituzioni e la solitudine che ne consegue con la spinta ad arrangiarsi oltre le regole che nessuno pare più voler rispettare, perché da fessi ….
La famiglia, microcosmo del grande scenario sociale, non poteva non risentirne, imbullonata su modelli educativi incerti, a corrente alternata e soprattutto poco centrati sull’affettività e sulla guida sicura dei figli. Da qui l’anedonia crescente, l’alexitimia diffusa e scenari sempre più raccapriccianti di devianze precoci. Ribellioni senza argini ad un mondo incomprensibile e non amico, con genitori vissuti come estranei se non addirittura nemici. Le psicopatologie che ne derivano e che hanno oramai evidenze cerebrali attraverso le neuro immagini, mettono in risalto la simbiosi oramai acclarata tra genetica ed ambiente e l’osservazione che gli screzi subiti nei primi dodici, tredici anni, segneranno vuoti interiori poi complicatissimi da riempire.
Senza sentirsi malati in senso clinico, tanti ragazzi in effetti procedono nella loro esistenza sempre sull’orlo del dirupo. Controllati, robotici, capaci semmai di una sottile ironia che assomiglia ad un sarcasmo risentito e che non può accendere i loro cuori ibernati. Sembrano normali e sono considerati razionali o al massimo introversi. Ma sono schiacciati ad una soglia minima di intelligenza emotiva, acquattati al limite dei disturbi dell’umore, alla ricerca di emozioni che concepiscono o nell’eccesso o nell’inutilità, perché non hanno il senso della gradualità e delle sfumature, prigionieri di una dicotomia “on – off” che del mondo coglie solo la stasi o l’eccitazione, senza altre sfumature. Una disregolazione emotiva che andrebbe trattata. E se le famiglie possono essere impreparate, la Scuola, le cui riforme riguardano sempre la forma e quasi mai i contenuti pedagogici e relazionali , dovrebbe avere tutto l’interesse ad insegnare ai ragazzi a darsi del tu emotivamente, esprimendo stati d’animo e provando curiosità per la vita.
Stiamo assistendo immobili all’architettura di un mondo asettico e statico, dove i futuri adulti, oggi ragazzi disattesi, a loro volta non potranno che essere genitori incapaci di accendere e coltivare scintille dentro. L’analfabetismo emotivo è uno dei presupposti delle società infelici e portate dall’autodistruzione. L’appiattimento è un limbo dove esistiamo nostro malgrado, dove il gesto prevale sul perché e gli automatismi sugli slanci. Se non si impara ad abbracciarsi e a gioire per le conquiste di ogni giorno, se non si assapora il gusto del regalare, dello spendersi per un motivo, avremo solo desolazione affettiva, che è la madre di tutte le tragedie che si consumano ogni giorno dentro molte famiglie, persuase che quella è la realtà e che il resto è mera utopia. E’ in questi scenari che , a partire dall’ adolescenza, la morte, nelle sue declinazioni a goccia lenta, fa meno paura della vita.